Rapporti di lavoro

Alla ricerca di equilibrio, ma attenti alle ambiguità

di Maria Carla De Cesari

Le ambiguità cominciano dall’iter. Il Ddl era stato annunciato circa un anno fa dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, al Congresso forense di Rimini. Per qualche mese se ne sono perse le tracce, come un fiume carsico è emerso a gennaio, quindi ieri è stato approvato dal Consiglio dei ministri. Il provvedimento arriva alla vigilia della pausa estiva, mentre mancano pochi mesi al voto politico. Siamo sicuri che la pressione del voto sia il clima migliore per affrontare un tema come quello del rimedio alla “proletarizzazione dei professionisti”? E se volessimo affrontare la questione, statistiche reddituali degli ultimi anni alla mano, come spiegare che il Ddl è focalizzato sul mondo forense?

Certo, il ministro Olando all’uscita dal Consiglio dei ministri ha spiegato che in Parlamento la protezione può essere estesa alle altre professioni. Tutto è possibile, ma su un tema - quello delle tariffe che mai vengono evocate in modo esplicito, ma che sono nel desiderio di molti quando si parla di equo compenso - sarebbe bene avere un disegno preciso sulla base del quale ci si confronta con Parlamento, professioni e forze sociali. Occorre evitare, in relazione alle professioni e al lavoro professionale, derive populiste che, alla rincorsa del consenso a tutti i costi, ripropongano schemi del passato. Le tariffe, abolite nel 2011/2012 dopo anni di dibattito, non sono risolutive - al di là della facciata - per i professionisti e non fanno bene ai cittadini-clienti. Il meccanismo delle tariffe porterebbe a posizionare le parcelle sopra un determinato livello: questo effetto, per la clientela, non è di per sé garanzia di qualità della prestazione, né aiuterà i professionisti, soprattutto i giovani, ad arrivare a nuovi spazi di mercato.

Nel merito, il provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri ha un ambito oggettivo circoscritto ai committenti “forti”, banche assicurazioni e grandi imprese. L’equo compenso è collegato ai parametri utilizzabili dal giudice quando le parti non si sono accordate sul valore della parcella: per il Ddl occorre una proporzione tra compenso e «quantità e qualità del lavoro svolto». Rispetto al Ddl presentato dal presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi, non c’è un’equivalenza tra equo compenso e parametri, che diventano “solo” dei livelli di riferimento. Il Ddl governativo mette quindi all’indice una serie di clausole abusive, ampliando quelle già enucleate nella legge sul lavoro autonomo, la 81/2017.

Forse è proprio quella della clausole abusive la strada corretta per risolvere le asimmetrie tra professionista e committente. In questo modo si salderebbe il cerchio tra la tutela del professionista e la “protezione” del cliente. Solo con la legge sulla concorrenza si è arrivati all’obbligo del preventivo scritto, a prescindere dalla richiesta del cliente. L’”invito” formulato nel 2011/2012 nella riforma delle professioni e del nuovo ordinamento forense ha finora prodotto risultati deludenti.

Saldare preventivi chiari a garanzia dei clienti e contratti limpidi a tutela dei professionisti potrebbe far segnare un passo avanti, senza cedimenti a improbabili ritorni al passato.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©