Contrattazione

I contratti collettivi allargano il perimetro del tempo determinato

Ecco le modifiche introdotte e quale impatto avranno nella gestione operativa dei rapporti di lavoro

di Ornella Lacqua e Alessandro Rota Porta

Il decreto Sostegni-bis ha apportato alcune novità alla regolamentazione del contratto a tempo determinato. Mi chiedo quali sono, in dettaglio, le modifiche introdotte e, all’atto pratico, quale impatto avranno nella gestione operativa dei rapporti di lavoro in questione?

L’emergenza pandemica ha suscitato l’esigenza di una maggiore flessibilità nel fabbisogno lavorativo, soprattutto al fine di assecondare la ripresa delle attività: è in questo particolare contesto che si collocano gli interventi del legislatore susseguitisi negli ultimi mesi. Più in particolare, in prima battuta, sono state licenziate disposizioni tese a sterilizzare l’impatto degli ammortizzatori sociali emergenziali sulle durate dei rapporti di lavoro a tempo determinato. Poi, è stata stabilita, con diversi rinvii che ne hanno reiterato la validità, la possibilità di ricorrere alle proroghe dei contratti a termine o ai rinnovi degli stessi in deroga alle regole ordinarie: in sostanza, secondo la norma tuttora vigente - scattata il 23 marzo scorso e valida fino al 31 dicembre 2021 – è possibile prorogare o rinnovare in via acausale per un periodo massimo di 12 mesi e per una sola volta (senza tenere conto delle proroghe e dei rinnovi intervenuti in precedenza) i contratti a termine, inclusi quelli in regime di somministrazione.

Le novità

Passiamo, invece, alle novità introdotte dal decreto legge 73/2021 (Sostegni-bis) convertito dalla legge 106/2021 e chiarite anche dalla nota dell'Inl del 14 settembre scorso. In questo caso, si tratta di un intervento senza scadenza e che legittima i contratti collettivi a definire specifiche ragioni giustificatrici, ulteriori a quelle già indicate dalla legge, che consentono la proroga oltre i 12 mesi o il rinnovo dei contratti a tempo determinato, sia diretti che a scopo di somministrazione: la modifica si innesta nel comma 1, dell’articolo 19, del Dlgs 81/2015. In sostanza, le intese collettive, come su altri aspetti molto rilevanti del lavoro flessibile, sono chiamate a svolgere un ruolo importante di adattamento delle regole ai diversi contesti produttivi di riferimento: in questo modo, l’elencazione del lavoro a termine potrà essere ampliata e arricchita, non solo a livello nazionale ma anche nei confronti dell’ambito territoriale o aziendale. Infatti, gli accordi ammessi a regolamentare le “specifiche esigenze” sono quelli nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.

Facendo un esempio, qualora il contratto collettivo nazionale applicato dal datore di lavoro si occupi di indicare precise esigenze correlate alla necessità di gestire particolari commesse oppure di far fronte a picchi produttivi in determinati periodi dell’anno, sarà possibile superare la durata di 12 mesi del rapporto di lavoro a termine (fermo restando quella massima complessiva di 24 mesi). Allo stesso modo, nel rispetto del cosiddetto stop&go, si potrà rinnovare il rapporto a tempo determinato, apponendo le motivazioni individuate dal Ccnl. Si tratta, quindi, di una modifica dalla portata strutturale, in vigore dal 25 luglio scorso. Merita, peraltro, ricordare come la violazione nell’applicazione delle causali determini la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.

Contratti di durata iniziale superiore a 12 mesi

C’è poi un’altra novità, ulteriore rispetto a quella appena descritta: sempre gli accordi collettivi hanno la possibilità di disciplinare specifiche fattispecie che consentono di stipulare contratti a termine di durata iniziale superiore a 12 mesi: pertanto, se individuate, consentiranno, ad esempio, di attivare un rapporto di lavoro a tempo determinato di 16 mesi. Questa disciplina normativa è stata però prevista a tempo: perchè utilizzabile soltanto fino al 30 settembre 2022.

Il Covid allunga la scadenza
per altri 12 mesi senza causale

Sono un lavoratore che ha in corso con un’azienda privata un contratto a tempo determinato di 12 mesi, che scade il 30 novembre 2021. È vero che il datore di lavoro potrebbe esercitare una proroga di altri 12 mesi senza la necessità di apporre una causale?

La risposta è affermativa. Sono stati diversi i provvedimenti normativi che, dall’inizio della pandemia, hanno concesso ai datori di lavoro una maggiore flessibilità nella gestione dei rapporti di lavoro a termine.

Appunto, l’attuale quadro in materia, innovato da ultimo dal decreto Sostegni (Dl 41/2021) permette, fino al 31 dicembre prossimo, di rinnovare o prorogare, per un periodo massimo di 12 mesi, i rapporti di lavoro a tempo determinato, in modalità acasuale. Devono però essere rispettate due condizioni: la proroga o il rinnovo “speciale” possono essere utilizzati una sola volta (sono sterilizzati quelli “speciali” già eventualmente attivati prima del 23 marzo 2021 in relazione alle precedenti norme emergenziali); resta ferma la durata massima complessiva di 24 mesi del contratto.

Lavoro somministrato: tetto
più ampio e maggiori proroghe

Le recenti novità intervenute in materia di contratti a termine impattano anche sulla somministrazione a tempo determinato? Quali sono le differenze tra i due?

Certamente, le novità descritte valgono sia nei confronti dei contratti a termine diretti quanto di quelli a scopo di somministrazione. Peraltro, sebbene i due istituti contrattuali siano stati “uniformati” dal Dlgs 81/2015, la somministrazione conserva alcune “facilitazioni” rispetto al contratto a tempo determinato. Infatti, al contrario di quanto accade per il lavoro a termine ordinario, per la somministrazione di manodopera il

legislatore ha introdotto un tetto di tipo quantitativo del 30% - che non si applica per i lavoratori somministrati “svantaggiati” – più ampio di quello del 20% previsto per il lavoro a tempo diretto, a meno che il contratto collettivo applicato dall’utilizzatore non disponga in maniera differente. Diverso anche il regime di proroghe e rinnovi. Il contratto di somministrazione può essere prorogato sino a 6 volte (al contrario delle 4 previste per il lavoro a termine); una volta esaurito il numero massimo di proroghe, inoltre, le parti possono stipulare un nuovo rapporto con altre 6 proroghe. Inoltre, al rapporto di somministrazione a termine non si applica lo stop & go e non sussiste il diritto di precedenza per le riassunzioni.

Non ci sono problemi di durata per l’altra forma di somministrazione, quella a tempo indeterminato. Tale rapporto viene avviato senza una data finale di scadenza, e può essere interrotto in qualsiasi momento, rispettando solo le scadenze che le parti, negoziando liberamente, hanno fissato nel contratto.

Intesa collettiva aziendale
per esigenze di lavoro ciclico

Sono il titolare di un’azienda soggetta ad esigenze lavorative cicliche ma che non trovano rispondenza né nelle ipotesi legali né in quelle del contratto collettivo nazionale di lavoro applicato. Posso concordare con le organizzazioni sindacali ipotesi specifiche per la mia realtà che mi consentano di utilizzare il lavoro a termine una volta esaurite le possibilità di ricorrervi in via acausale?

Quanto richiesto è fattibile: lo strumento è proprio quello dell’intesa collettiva aziendale. Infatti, dopo l’intervento innovativo apportato dal recente decreto sostegni-bis, gli accordi legittimati a definire le specifiche esigenze che consentono la proroga oltre i 12 mesi ovvero il rinnovo non sono soltanto quelli di livello nazionale o territoriale ma anche quelli aziendali, purché sottoscritti da associazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero dalle loro rappresentanze presenti in azienda.

In realtà, esiste da tempo anche un’altra possibilità di affrontare in maniera più attinente il fabbisogno descritto: sempre percorrendo la strada del contratto collettivo di secondo livello, si potrebbe puntare a configurare una particolare ipotesi di stagionalità riferita al contesto aziendale: questa possibilità è ammessa dal comma 2, dell’articolo 21, del Dlgs 81/2015, alla stregua di quella appena descritta, laddove l’attività stagionale in parola non sia già codificata nel Dpr 1525/1963 ovvero all’interno del Ccnl.

Tutte le eccezioni previste
per i contratti stagionali

Anche i contratti a termine stagionali devono rispettare tutte le condizioni che la normativa impone per i contratti a termine ordinari, ossia vige il regime delle causali, del numero massimo di proroghe, di durata massima complessiva e così via oppure godono di una maggiore flessibilità gestionale?

Il contratto stagionale costituisce una particolare declinazione del rapporto di lavoro a tempo determinato e, per le sue peculiari esigenze, presenta diverse eccezioni rispetto alle regole generali. Nel dettaglio, i contratti stagionali possono essere stipulati senza limiti di durata massima, anche al superamento dei 24 mesi; si possono operare proroghe e rinnovi senza l’obbligo di indicare la ragioni giustificatrici circa l’apposizione del termine al contratto; non vige l’obbligo dello stop & go, vale a dire di rispettare le pause che vanno osservate tra un contratto a termine e il successivo; non ci sono blocchi al numero complessivo di contratti a termine attivabili. Inoltre, al lavoro stagionale non si applica il contributo addizionale Inps dell’1,40% né il contributo incrementale dello 0,5% introdotto dal dl 87/2018 ai contratti stagionali per le attività di cui al Dpr 1525/1963. È bene precisare come il lavoratore assunto a tempo determinato per lo svolgimento di attività stagionali ha diritto di precedenza rispetto a nuove assunzioni a tempo determinato da parte dello stesso datore di lavoro per le medesime attività stagionali.

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