Contrattazione

Causali e lavoro domenicale: «retail» come banco di prova

di Giovanna Mancini

Esiste una vulgata secondo cui il settore della grande distribuzione sarebbe una fabbrica di precariato. Ma se si leggono i dati, si scopre che nella Gdo, un’industria che genera il 7% del Pil nazionale e dà lavoro a circa 2 milioni di persone, indotto compreso – i contratti a tempo determinato sono il 9% del totale, contro l’89% di contratti a tempo indeterminato. Non solo: di questo 9%, circa la metà si trasforma poi in posti di lavoro fisso, mentre per il resto si tratta di assunzioni stagionali, per periodi straordinari come il Natale o i saldi. Proprio quelle che sono messe in discussione con il decreto dignità.

La tenuta dell’occupazione
«Nonostante le difficoltà che hanno colpito il nostro settore negli ultimi dieci anni, a seguito della crisi dei consumi, l’occupazione ha tenuto», osserva il presidente di Federdistribuzione, Claudio Gradara, commentando i risultati della ricerca affidata dall’associazione (che rappresenta le imprese italiane della distribuzione moderna) alla società di consulenza PwC. La ricerca mette a confronto la situazione del lavoro nel retail tra il 2006 e il 2017, gli anni più difficili per il mondo dei consumi e del commercio.

«Il segno della crisi si vede tutto in questa ricerca – osserva Gradara –: sono diminuiti i fatturati e i margini, dato che l’incidenza del costo del lavoro sui ricavi è aumentato (passando dall’11,4% del 2006 al 12,7% del 2017, ndr), ma le nostre aziende hanno dimostrato di saper sopportare questo aumento continuando ad assumere, sebbene a ritmo inferiore rispetto al passato, e a investire sulla formazione dei propri dipendenti». Mentre infatti la dinamica degli investimenti complessivi delle aziende è leggermente scesa (-2%), per un totale di 1,6 miliardi nel 2017, quelli rivolti alla formazione sono al contrario più che raddoppiati nel periodo considerato, per complessivi 31 milioni di euro investiti l’anno scorso (+124%). Si può dire che in questi anni c’è stato uno spostamento delle direttrici di spesa: è diminuita la quota di risorse destinate all’apertura di nuovi punti vendita, mentre è aumentata quella per il riammodernamento o ampliamento della rete di negozi, ma soprattutto quella destinata alle strategie di innovazione, che comprendono anche l’aggiornamento professionale dei dipendenti. Sono aumentate anche le esperienze di “buone pratiche” sul fronte del welfare.

Nuove assunzioni
Anche il dato sulle nuove assunzioni è significativo: è vero che in questi 11 anni sono diminuite (fatto 100 il 2016, nel 2017 sono state il 40% in meno), ma le imprese della grande distribuzione hanno continuato comunque a creare lavoro, con una ripresa costante a partire dal 2013, che ha portato nel 2017 a un picco dell’organico complessivo (+11% rispetto al 2006), con 18mila nuove assunzioni, di cui per il 62% si tratta di nuove posizioni.

Una tenuta a cui è tutt’altro che estranea la legge che ha liberalizzato le aperture dei negozi nei giorni festivi, osserva Claudio Gradara: «Quel provvedimento ha sostenuto l’occupazione, creando 16mila posti di lavoro negli anni più duri della crisi». Per questo Federdistribuzione chiede un confronto con il governo su questo tema, dicendo no all’ipotesi di una drastica riduzione delle giornate di apertura, ventilata nelle ultime settimane dalle fila dei 5 Stelle.

«Il dato sulla tenuta dell’occupazione è significativo soprattutto se si considera la crescente incidenza del costo del lavoro sui ricavi – osserva Francesco Quattrone, direttore dell’area Lavoro e relazioni sindacali di Federdistribuzione –. In questo settore i margini di redditività sono molto bassi, perciò uno o due punti percentuali pesano molto sui bilanci». Le crisi aziendali nella grande distribuzione non sono certo mancate – a causa della crisi dei consumi, ma anche della crescente concorrenza dell’ecommerce – ma sono state quasi sempre risolte con piani di ristrutturazione e incentivi all’esodo, precisa Quattrone, raggiungendo nel 90% dei casi accordi con i sindacati.

Il contratto nazionale
Accordo ancora lontano, invece, per quanto riguarda il Contratto nazionale del lavoro: avendo rifiutato la proposta dei sindacati (aumento del salario doppio rispetto all’inflazione), attualmente le aziende di Federdistribuzione applicano ancora il contratto del 2011, siglato allora da Confcommercio e scaduto nel 2014. Dal 2015 l’adeguamento avviene attraverso erogazioni unilaterali: finora sono stati 61 euro medi al mese, mentre altri 24 euro saranno erogati entro fine anno. Una tempistica più coerente con l’inflazione, osserva Quattrone, e anche con l’andamento di un settore che ancora non ha finito di fare i conti con la crisi dei consumi, o meglio la trasformazione delle abitudini di acquisto degli italiani.

Effetti del decreto Dignità
A preoccupare le imprese del settore sono però, in queste settimane, soprattutto le decisioni del nuovo governo in materia di occupazione, con il citato decreto Dignità. L’introduzione di nuove causali che colpiscono i contratti a tempo determinato, e viceversa l’eliminazione di una causale “storica”, che consentiva l’assunzione di stagionali per i picchi di lavoro programmabili (come Natale, Pasqua o i saldi), rischia di compromettere l’attività di molte aziende e soprattutto di frenare nuove assunzioni. «È un grave errore – commenta Claudio Gradara –. Si fa un passo indietro rispetto alla semplificazione, generando confusione e incertezza negli operatori. Per noi sarebbe più utile incentivare la stabilizzazione del lavoro che colpire i contratti a tempo determinato».

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