Ex Embraco, dai compressori per frigoriferi ai droni per pulire pannelli solari
A poco più di sei mesi dalla firma per la cessione dello stabilimento di Riva di Chieri, in provincia di Torino, la trasformazione della ex fabbrica Embraco è iniziata. Formalmente, si tratta di una ristrutturazione aziendale che in realtà è una vera e propria riconversione industriale: nuova proprietà – dalla Embraco del Gruppo Whirpool alla Ventures Srl – e nuovi settori merceologici, dai compressori per frigoriferi ai dispositivi per la pulizia dei pannelli solari.
Una riconversione da zero, come racconta l’amministratore unico Alessandra Di Bari, «degli spazi e del personale». In totale 413 persone tra operai, tecnici e amministrativi. Tutti passati alla nuova società con la procedura della cessione del ramo d’azienda, dopo la firma dell’11 luglio scorso. Due le produzioni core nello stabilimento piemontese: da un lato i robot per installare e pulire i pannelli solari, sia per le piccole superfici che per i campi o le aree industriali, dall’altro i distributori automatici di acqua “smart”, dotati di un sistema in grado di riconoscre l’utente – sesso, fascia d’età, corporatura, ecc. – e visualizzare sugli schermi spot pubblicitari mirati. «A Riva di Chieri – spiega Di Bari – saranno prodotti anche i droni da utilizzare per movimentare i robot più grandi e inoltre ospiteremo una linea dedicata alla realizzazione di due ruote elettriche o con pedalata assistita destinate al mercato europeo». In questa prima fase, l’investimento stimati è di oltre venti milioni. Tutta la tecnologia arriva da Israele, la Ventures infatti è una newco in capo alla famiglia Di Bari e al socio Ronen Goldstein, con una quota pari al 15% di proprietà dei cinesi di Guangdong Electric Power. La base produttiva è in Italia. «Abbiamo già un precontratto con il socio cinese per il mercato asiatico – spiega l’ad – con l’impegno di avere le preserie dei robot nel corso dell’anno e passare alla produzione a regime nel 2020».
I 413 addetti sono in cassa integrazione straordinaria da circa sei mesi, si andrà avanti, spiega Ugo Bolognesi della Fiom di Torino, «fino all’estate del 2020». Ventiquattro mesi, con rientri in azienda programmati e cassa integrazione a rotazione. Una novantina le persone giaà al lavoro, un prossimo step di ingressi dovrebbe esserci tra aprile e maggio, come si augurano i sindacati. «Restiamo cauti sulla vicenda – aggiunge Bolognesi – siamo all’inizio, con un numero ancora limitato di addetti rientrati al lavoro e l’impegno di produzione su prototipi, un nuovo incontro con la proprietà è stato fissato a fine febbraio».
La vicenda industriale della Embraco inizia poco più di un anno fa, con oltre 500 lettere di licenziamento inviate dalla proprietà intenzionata a chiudere lo stabilimento italiano e delocalizzare la produzione. Da lì prende il via una mobilitazione difficile e l’impegno del Governo, in particolare dell’allora ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda, a cercare una soluzione per salvare i posti di lavoro. Un centinaio nel frattempo le persone che hanno deciso di lasciare l’azienda, accettando un incentivo messo in campo dalla vecchia proprietà, tutti gli altri sono passati alla newco e hanno scommesso sul futuro.
«Stiamo andando avanti - racconta Alessandra di Bari – in questi giorni abbiamo rimosso la vecchia insegna della fabbrica, stiamo lavorando per avviare la bonifica dei tetti con l’amianto e nelle prossime settimane vareremo l’aumento di capitale e costituiremo il consiglio di amministrazione della società». La vecchia proprietà sta ancora smantellando i macchinari, poi bisognerà ripristinare le condizioni ambientali e installare i nuovi impianti. Alla domanda se la vicenda Embraco possa davvero diventare un caso-simbolo di riconversione industriale per l’Italia, la risposta è affermativa. Ma con una notazione a margine: «Dal giorno dopo la firma dell’accordo per rilevare il sito – spiega Di Bari – non abbiamo avuto alcun tipo di affiancamento da parte delle istituzioni, abbiamo lavorato per risolvere una montagna di problemi burocratici. Questo è quello che dell’Italia scoraggia gli investitori stranieri».