A ferie, contributi e compensi minimi non si può rinunciare
Non tutti i diritti del lavoratore possono essere oggetto di rinunzia e transazione. Ci sono determinati diritti, infatti, che non possono essere oggetto di conciliazione ex articolo 2113 del Codice civile.
I diritti indisponibili
Senza pretese di completezza, ci si riferisce alle rinunce e transazioni dei diritti assolutamente “indisponibili” del lavoratore, perché tutelati a livello costituzionale, quali ad esempio, il diritto al riposo giornaliero e settimanale e il diritto alle ferie, ritenuto irrinunciabile dall’articolo 36 della Costituzione. Si tratta infatti di disposizioni finalizzate al recupero psico-fisico del lavoratore, che, in quanto tali non possono essere “toccate” e quindi non possono essere oggetto di rinuncia.
Anche il compenso minimo previsto dalla contrattazione collettiva è un diritto assolutamente inderogabile perché tutelato dall’articolo 36 della Costituzione: come tale, non può essere oggetto di una valida rinuncia.
Un altro diritto inderogabile in relazione al quale nessuna rinuncia o transazione può essere valida è il versamento dei contributi previdenziali. Il lavoratore, anche se autonomo, non può assolutamente rinunciarvi, né può esonerare il datore di lavoro o il committente dal relativo obbligo. Questo perché il titolare del rapporto previdenziale è l’Inps (o l’Inail per quello assicurativo) e il lavoratore, almeno nei limiti prescrizionali, non può assolutamente disporne.
Rinunciabili i diritti maturati
Le rinunzie e le transazioni, ancora, devono avere per oggetto solo diritti già entrati a far parte del patrimonio del lavoratore. Il regime di eventuale mera annullabilità degli atti contenenti rinunce del lavoratore a diritti garantiti da norme inderogabili di legge o di contratto collettivo, infatti, previsto dall’articolo 2113 del Codice civile, riguarda soltanto le ipotesi di rinuncia a un diritto già acquisito.
La Corte di cassazione (sentenza 25315 dell’11 ottobre 2018) ha precisato che l’ipotesi di rinuncia all’incidenza dell’anzianità maturata (a una certa data del rapporto di lavoro) su diritti, derivanti da norme inderogabili di legge o di contratto collettivo, in quanto non ancora acquisiti nel patrimonio del rinunciante, è nulla in base all’articolo 1418 del Codice civile (in questo senso, si vedano le sentenze della Cassazione 4811/2012 e 13834/2001).
Seguendo questo orientamento la Cassazione, con la sentenza 14510 del 28 maggio 2019, non discostandosi dalle sue precedenti decisioni (23087/2015, 4822/2005 e 16826/2005), ha affermato che il diritto alla liquidazione del Tfr, nonostante l’avvenuto accantonamento delle somme, non può ritenersi ancora parte del patrimonio del lavoratore prima della cessazione del rapporto, sicché per il dipendente ancora in servizio costituisce un diritto futuro, la cui rinuncia è radicalmente nulla, per mancanza dell’oggetto, in base all’articolo 1418, comma 2 del Codice civile e dell’articolo 1325 del Codice civile.