Ammortizzatori

Ammortizzatore d’emergenza al test delle regole standard

Il decreto Alluvioni rinvia e deroga ripetutamente il Dlgs 148/2015 ma questo sistema normativo adottato durante l’epidemia Covid non si è dimostrato efficace

di Enzo De Fusco

Nasce l’ammortizzatore unico per gestire, probabilmente, tutte le emergenze e si prospetta, così, una forte semplificazione per il sistema. Tuttavia, dalla norma non si comprende se la natura dello strumento è riconducibile o meno alle regole di sistema previste dal decreto legislativo 148/2015, in quanto i diversi richiami al decreto non sempre vanno nella stessa direzione.

Il comma 1 dell’articolo 7 del Dl 61/2023 prevede che, per l’emergenza in Emilia Romagna, ai lavoratori privati subordinati è riconosciuta dall’Inps una «integrazione al reddito», con relativa contribuzione figurativa, di importo mensile massimo pari a quello previsto per le «integrazioni salariali» di cui all’articolo 3 del Dlgs 148/2015.

Da questo primo passaggio, dunque, la norma sembra voler distinguere da un punto di vista terminologico, ma anche sostanziale, lo strumento della «integrazione al reddito» dallo strumento «integrazione salariale» oggetto del Dlgs 148/2015, sebbene la prima sia calcolata in modo pari a quanto previsto dall’articolo 3 del medesimo decreto.

Un secondo richiamo è contenuto nel comma 6 dell’articolo 7, laddove i datori di lavoro che presentino domanda per le integrazioni al reddito, in conseguenza degli eventi alluvionali, «sono dispensati dall’osservanza degli obblighi di consultazione sindacale e dei limiti temporali previsti dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148».

Il comma 6, al contrario, sembra ricondurre, sebbene indirettamente, la disciplina del nuovo strumento di integrazione al reddito all’impianto del decreto 148/2015 e ciò si ricava dal fatto che il legislatore ha voluto escludere l’applicabilità degli obblighi di consultazione sindacale e dei limiti temporali in esso previsti.

Un ulteriore riferimento è contenuto nel comma 7, in cui si precisa che la nuova integrazione al reddito è «incompatibile con tutti i trattamenti di integrazione salariale di cui al decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148». In questo caso il legislatore sembra tornare alla prima direzione, ossia di escludere il nuovo strumento dall’ambito di applicazione del decreto 148/2015.

Nel comma 8 è poi presente un altro riferimento alla norma di sistema, poiché si stabilisce che i periodi di concessione dell’integrazione al reddito «non sono conteggiati ai fini delle durate massime complessive previste dal decreto legislativo n. 148/2015, in applicazione dell’articolo 12, comma 4, del medesimo decreto legislativo». Sempre il comma 8 provvede a escludere espressamente il nuovo strumento dall’obbligo di versamento del contributo addizionale regolato dall’articolo 5, comma 1, del Dlgs 148/2015.

In questo quadro giuridico non uniforme, sarebbe auspicabile che il nuovo strumento, per avere il meritato successo, rimanga fuori dalle regole previste dal decreto 148/2015. La tecnica normativa di richiamare tale decreto per poi derogarlo, già sperimentata in periodo Covid, non sembra aver funzionato adeguatamente.

Per questo motivo bene fa la norma, nel comma 1, a distinguere l’integrazione al reddito rispetto all’integrazione salariale tipica. E bene fa la norma a ritenere incompatibili i due strumenti. Tuttavia, in sede di conversione è auspicabile che venga eliminato ogni altro riferimento al decreto 148 affinché il nuovo strumento abbia l’adeguata flessibilità e una sua peculiare disciplina.

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