ApprofondimentoContenzioso

Conciliazione ed effettività dell’assistenza sindacale

di Pasquale Dui e Luigi Antonio Beccaria

N. 7

guida-al-lavoro

In materia di conciliazione sindacale, in svariate circostanze, la giurisprudenza si è spinta sino a verificare un ruolo attivo e non solo formale e burocratico del conciliatore nella composizione della controversia, ritenendo necessario che il lavoratore sia consapevole di quanto ha stipulato, che sia consigliato sulle convenienze e che sia avvertito degli effetti dispositivi derivanti dall’atto e dell’irreversibilità degli stessi. Molto più risalente e oltremodo superato è l’opposto orientamento secondo il quale è sufficiente la presenza del conciliatore per affrancare il lavoratore dallo stato di soggezione nei confronti del datore

Massima

  • Conciliazione - in sede sindacale - verbale di conciliazione - rappresentanza sindacale - effettiva assistenza sindacale - prova contraria - onere del lavoratore - sussiste Cass., sez lav., 18 gennaio 2024, n. 1975

    In tema di conciliazione con il datore di lavoro, il legislatore non richiede affatto che il mandato al rappresentante sindacale sia anteriore o comunque preventivo rispetto al tempo e al luogo in cui viene stipulata la conciliazione; la contestualità del mandato rispetto alla stipula dell’atto potrebbe costituire un indizio circa la non effettività dell’assistenza sindacale, che tuttavia deve essere corroborato da altri elementi indiziari per integrare la prova presuntiva di tale vizio (articolo 2729 cc), in grado di inficiare la validità della conciliazione; il relativo onere probatorio grava sulla lavoratrice, in quanto attrice che ha domandato la previa declaratoria di nullità della conciliazione.

Conciliazione sindacale e ruolo del sindacalista

Le sedi indicate nel comma 4 dell’art. 2113 c.c. sono ritenute idonee a sottrarre il lavoratore dalla condizione di soggezione e debolezza nei confronti del datore di lavoro [1], nel presupposto che il conciliatore presti assistenza effettiva al soggetto che dispone dei propri diritti [2], non essendo sufficiente, ai fini della validità della conciliazione, la mera presenza del terzo. Si discute tuttavia su quali siano le modalità concrete con le quali deve svolgersi l’intervento del terzo, onde ...

  • [1] Cass., ordinanza, 06.05.2016, n. 9255; Cass. 28.04.14, n. 9348; Cass. 19.08.2004, n. 16283.

  • [2] Cass. 22.05.2008, n. 13217; Cass. 13.11.1997, n. 11248.

  • [3] Per un esame approfondito della questione si rinvia a P. DUI, Conciliazione, controversie di lavoro e patologie di sistema, in Lavoro Diritti Europa, n. 3/2021.

  • [4] Cass. 10.02.2011, n. 3237, in Dir. giust., 18.02.2021, con nota di M. F. FERRARI; Tribunale Roma, 08.05.2019, in Giur. it., 2019, 7, 1604 con nota critica di M. PERSIANI. Sulla stessa sentenza del Tribunale di Roma, nonché su alcune considerazioni di fondo dell’istituto della conciliazione, v. M. CUOMO, La conciliazione come aspetto stragiudiziale delle controversie di lavoro, in Lavoro Diritti Europa, 14 gennaio 2021.

  • [5] Cass. 03.09.2003, n. 12858 in Riv. it. dir. lav., 1, 2004, 183.

  • [6] Cass. 26.09.2016, n. 18864.

  • [7] Cass. 03.09.2003, n. 12858; Cass. 03.04.2002, n. 4730.

  • [8] Cass. 23.10.2013, n. 24024, che ha ritenuto irrilevante la circostanza che il lavoratore fosse assistito da un avvocato e avesse ricevuto dai conciliatori generiche informazioni sulla transazione: conforme Cass. 22.05.2008, n. 13217.

  • [9] Cass. 26.07.1984, n. 4413.

  • [10] Cass. 3.9.2003, n. 12858, interessante per ulteriori spunti, che verranno approfonditi più avanti. Di recente, cfr. S. IMBRIACI, Conciliazione in sede diversa da quella “protetta”, in Guida lav., 2023, 37, 18.

  • [11] Cass. 11.12.1999, n. 13910, sinteticamente massimata come segue: “Una conciliazione sindacale, per essere qualificata tale ai fini degli art. 411, comma 3, c.p.c. e 2113, comma 4, c.c., deve risultare da un documento sottoscritto contestualmente dalle parti nonché dal rappresentante sindacale di fiducia del lavoratore”.

  • [12] Emblematica su questi profili e salvi gli approfondimenti del caso, la fattispecie concreta affrontata da Cass. 22.5.2008, n. 13217: L’accordo tra il lavoratore ed il datore di lavoro, nel quale sia identificata la lite da definire ovvero quella da prevenire (unitamente, in tal caso, all’individuazione dell’interesse del lavoratore) e che contenga lo scambio tra le parti di reciproche concessioni, è qualificabile come atto di transazione ed assume rilievo, quale conciliazione in sede sindacale ai sensi dell’art. 411, terzo comma, cod. proc. civ., ove sia stato raggiunto con un’effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti dell’organizzazione sindacale indicati dal medesimo, dovendosi valutare, a tal fine, se, in relazione alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa (nella specie, la S.C. ha rilevato che correttamente il giudice di merito aveva escluso che si fosse in presenza di una transazione redatta ai sensi degli articoli 410 e 411 cod. proc. civ. in quanto non sussisteva alcuna controversia tra le parti, la sola società datrice di lavoro aveva interesse a regolare i rapporti con i propri dipendenti nella prospettiva di trasformarsi in s.r.l., e il sindacalista, chiamato dalla società e non dal lavoratore, si era limitato ad elaborare i conteggi, restando estraneo alla vicenda e svolgendo un ruolo di testimone di operazioni -elaborazioni di conteggi e di fatti -ricostruzione della storia lavorativa del lavoratore che, lungi dal fornire una consapevole assistenza, era stato successivamente stigmatizzato dallo stesso sindacato di appartenenza). In senso conforme, in una fattispecie di correttezza accertata, vedi Cass. 03.04.2002, n. 4730.