Contribuzione dovuta sull’indennità anche se non corrisposta
Si fa riferimento alla retribuzione prevista dal contratto, anche se non tutta erogata al dipendente
Con l'ordinanza 10958/2023, la Cassazione prende spunto dal mancato assoggettamento a contribuzione di una singolare voce retributiva (indennità di camice), prevista nella contrattazione collettiva ma non versata di fatto alla lavoratrice, per chiarire, in funzione didattica, una differenza di concetti che nella pratica viene spesso confusa.
L'Inps lamentava il fatto che era stata ritenuta non soggetta a contribuzione una parte della retribuzione dovuta alla lavoratrice, escludendo indebitamente somme da considerarsi nel concetto di contribuzione dovuta. La Suprema corte si interroga, allora, sulla sussistenza dell'obbligo contributivo in presenza di voci che il contratto collettivo prevede a titolo di indennità, quando la stessa non sia di fatto erogata, in quanto, nel caso di specie, al lavoratore era stato offerto il camice provvedendo alla sua manutenzione.
La Cassazione ricorda che, nel disciplinare la base di calcolo degli istituti retributivi contrattualmente previsti, alcune disposizioni di legge richiamano nozioni di retribuzione normale onnicomprensiva, inderogabili dalla contrattazione collettiva, mentre altre disposizioni si limitano a richiamare, puramente e semplicemente, la generica nozione di retribuzione, riservandone la determinazione alla competenza istituzionale dell'autonomia collettiva. Se, dunque, la legge non indica come caratteristica quella della onnicomprensività, la misura degli istituti contrattuali è regolata dal contratto collettivo.
Sul versante contributivo, invece, le cose stanno diversamente. La legge, infatti, indica quale sia la retribuzione "utile" ai fini contributivi, ossia quale e quanta parte della retribuzione debba essere sottoposta al prelievo contributivo (imponibile contributivo). Tale selezione è compito della disposizione di legge, e non della contrattazione collettiva. In particolare, la disciplina è dettata dall'articolo 12 della legge 153/1969. La giurisprudenza, interpretando tale norma, afferma con orientamento monolitico che alla base del calcolo dei contributi previdenziali deve essere posta la retribuzione dovuta per legge o per contratto individuale o collettivo e non quella di fatto corrisposta, in quanto l'espressione usata dall'articolo 12 della legge 153/969 per indicare la retribuzione imponibile («tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro») va intesa nel senso di «tutto ciò che ha diritto di ricevere».
Il rapporto assicurativo e l'obbligo contributivo ad esso connesso sorgono con l'instaurarsi del rapporto di lavoro, ma sono del tutto autonomi e distinti, nel senso che l'obbligo contributivo del datore di lavoro verso l'istituto previdenziale sussiste indipendentemente dal fatto che gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d'opera siano stati in tutto o in parte soddisfatti (tra le tante, Cassazione 3630/1999). Ove si fosse considerata, nel caso specifico, anche l'indennità di camice, la retribuzione sarebbe stata maggiore e quindi maggiore l'imponibilità.
È quindi irrilevante la circostanza che la lavoratrice abbia di fatto ricevuto o no l'indennità, quanto verificare se la retribuzione dovuta includeva questa indennità, per cui se la retribuzione da assoggettare a contribuzione è quella dovuta al lavoratore, e se questa, a norma di contratto nazionale, non è onnicomprensiva, anche la base di calcolo non potrà essere onnicomprensiva. Ove, a livello di contrattazione aziendale o provinciale, vengano previste indennità ulteriori rispetto a quanto stabilito nel contratto nazionale, anche in tal caso occorre necessariamente interpretare il contratto, per accertare se una voce retributiva debba essere inclusa negli istituti indiretti, perché solo così si determina il "dovuto" spettante al lavoratore e di conseguenza la base di calcolo dei contributi.
Su tutto vige comunque il limite invalicabile dettato dalla regola del minimale contributivo, secondo cui l'importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all'importo di quella che sarebbe dovuta, ai lavoratori di un determinato settore, in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (articolo 1 del Dl 338/1989). La legge del 1989 determina quindi un imponibile "minimo" da sottoporre a contribuzione, al di sotto del quale non è possibile scendere, ancorchè la retribuzione "dovuta" al lavoratore sia inferiore.
Quindi:
a) le disposizioni sull'imponibile previdenziale determinano quali voci della retribuzione erogata devono essere sottoposte a contribuzione, quali cioè entrano nella base imponibile a cui si applica l'aliquota, e quali invece ne sono esenti;
b) le disposizioni sul minimale prescrivono che - qualunque sia la retribuzione erogata o dovuta al lavoratore - la retribuzione valida ai fini contributivi, ossia l'imponibile su cui applicare l'aliquota di pertinenza, non può essere inferiore a un certo ammontare, che la legge determina richiamando la contrattazione collettiva.