Previdenza

Fondi pensione, rendimenti giù. Solo il 18,8% della platea under 35

A fine 2022 le risorse delle forme complementari in calo del 3,6% ma crescono i contributi del 3,7% e gli iscritti del 5,4% seppure nel segno del gap di genere: il 61,8% sono uomini

di Marco Rogari

Il 2022 con le ripetute turbolenze dei mercati finanziari si è rivelato un anno difficile per i fondi pensione. Le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si sono fermate a 205,6 miliardi con un calo del 3,6% rispetto al 2021. I rendimenti dei fondi negoziali in media sono risultati negativi del 9,8% mentre quelli dei fondi aperti hanno fatto registrare un -10,7% e i Pip (piani individuali pensionistici) “nuovi” un -11,5%. Sempre nel 2022 il Tfr si è rivalutato dell’8,3%. Anche se nell’arco degli ultimi dieci anni il rendimento di tutti i fondi è stato superiore del 2% e quindi sopra il risultato del trattamento di fine rapporto. A metterlo nero su bianco è l’ultima relazione annuale della Commissione di vigilanza sui fondi pensione, illustrata ieri alla Camera dalla presidente facente funzione, Francesca Balzani, visto che il governo non ha ancora provveduto a nominare il successore di Mario Padula, che ha esaurito il suo mandato. Una fotografia che mostra anche diverse luci. Come la crescita del 3,7% dei contributi (3,6% considerando i Pip “vecchi”) e del 5,4% degli iscritti. Che sono arrivati a quota 9,2 milioni ma che continuano a presentare pochi giovani: gli under 35 sono appena il 18,8 per cento.

La fetta maggiore della platea è rappresentata dai soggetti con età compresa tra 35 e 54 anni (il 48,9%), seguita da quella degli iscritti con almeno 55 anni (32,3%). Complessivamente le adesioni (gli iscritti possono avere più posizioni nei vari fondi) sono quasi 10,3 milioni (+5,8%). La maggior parte degli iscritti è concentrato nelle regioni del Nord Italia (57,1%). Ma il bacino si conferma influenzato dal “gender gap”: gli uomini rappresentano il 61,8% della platea della previdenza complementare, con una punta del 73% nei fondi negoziali.

«La sostanziale stabilità dei flussi di nuovi iscritti e di contributi - si legge nel dossier della Covip - ha confermato il fondamentale dualismo del sistema. Esso, infatti, accoglie prevalentemente uomini, di età matura, residenti nel Nord del Paese, inseriti in imprese ragionevolmente solide e in grado di dare continuità ai flussi di finanziamento». Ma l’Authority fa anche notare quelli che restano i punti deboli: «Donne, giovani, lavoratori del Sud del Paese continuano invece a essere meno presenti. Ciò significa che proprio le figure meno forti, per le quali sarebbe più pressante la necessità di un futuro previdenziale più solido fanno più fatica a entrare nel mondo della previdenza complementare».

Dalla relazione annuale della Covip emerge che a fine 2022 in Italia i fondi pensione erano 332: 33 negoziali, 40 aperti, 68 piani individuali pensionistici (Pip) e 191 fondi pensione preesistenti. L’Authority osserva che il numero delle forme pensionistiche operanti nel sistema è in costante riduzione: otre venti anni fa, nel 1999, erano 739, oltre il doppio. La Covip tiene comunque a sottolineare che, malgrado l’andamento negativo dei mercati finanziari, il sistema della previdenza integrativa ha «complessivamente mostrato una sostanziale resistenza». Ma il dossier evidenzia anche la necessità di nuove misure. A partire da «interventi mirati sul sistema degli incentivi all’adesione e alla contribuzione per agevolare, in particolare, l’inclusione nel sistema previdenziale delle fasce più deboli di lavoratori e per raggiungere maggiore equità intergenerazionale».

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