Lavoro a chiamata, limiti di età sotto esame
Per l’avvocato generale presso la Corte di giustizia Ue nella causa Abercrombie/Bordonaro (conclusioni depositate ieri) spetta al giudice nazionale valutare la legittimità della discriminazione di età stabilita dalle norme sul contratto di lavoro intermittente o job on call. Un contratto di cui si discute molto oggi, il contratto di lavoro intermittente è indicato, anche nel dibattito politico-mediatico, come il principale strumento per gestire esigenze di lavoro occasionale dopo l’abrogazione dei voucher attuata con il Dl 25/2017. Si prospetta infatti l’ipotesi di liberalizzare il contratto a chiamata, oggi possibile solo per determinate attività ed esigenze (individuate dai contratti collettivi e da un decreto ministeriale) oppure, in ogni caso, per soggetti con particolari requisiti di età (meno di 24 anni – purché le prestazioni vengano svolte entro il 25° anno - o più di 55). Ed è proprio sul requisito dell’età, quale condizione unica di accesso a una tipologia contrattuale flessibile, a prescindere da ogni altra situazione oggettiva, che si incentra la questione all’esame della Corte. La vicenda aveva a suo tempo suscitato un certo interesse mediatico. La Corte d’appello di Milano, con una sentenza dell’aprile 2014, aveva ritenuto che la normativa italiana sul contratto a chiamata, che consentiva di attivare e risolvere contratti di questo tipo in base al solo requisito di età, contrastasse con il divieto di discriminazione in base all’età, che costituisce principio fondamentale della Ue. Aveva quindi disapplicato la normativa nazionale, riqualificando il rapporto di lavoro in rapporto di lavoro subordinato ordinario part-time e condannando la società a riammettere in servizio il lavoratore, nel frattempo licenziato per superamento del 25° anno di età. La Cassazione, investita dell’impugnazione della sentenza, ha ritenuto di sottoporre alla Corte Ue la questione pregiudiziale della compatibilità della normativa nazionale sul contratto a chiamata con il divieto di discriminazione in base all’età sancito dalla Carta dei diritti fondamentali Ue e dalla direttiva 2000/78. La soluzione che l’Avvocato generale propone alla Corte rimanda, nella sostanza, la valutazione al giudice nazionale, al quale comunque si possono fornire alcuni criteri di orientamento. Secondo l’avvocato generale la direttiva comunitaria 2000/78 non osta a una disposizione nazionale, come quella italiana, che prevede che i contratti di lavoro intermittente siano applicabili in ogni caso ai lavoratori con meno di 25 anni di età (anche in assenza quindi dei requisiti generali previsti per i lavoratori di età diversa). A due condizioni, però che la norma persegua una finalità legittima collegata alla politica dell’occupazione e del mercato del lavoro e che tale finalità sia raggiunta con mezzi appropriati e necessari. Spetta al giudice nazionale, secondo l’avvocato generale, stabilire se tali condizioni siano soddisfatte nel caso di specie. Se non si può dubitare, infatti, che la norma tratti alcuni soggetti in maniera diversa da altri unicamente in ragione dell’età, resta da stabilire (a cura del giudice nazionale) se tale differente trattamento sia più o meno favorevole ai lavoratori più giovani, e quindi se si possa parlare o meno di discriminazione ai loro danni. In caso affermativo, posto che la discriminazione per età (a differenza di altre) può essere giustificata, il giudice nazionale dovrà valutare se la disparità di trattamento possa trovare la sua giustificazione in una finalità legittima (inserimento dei giovani nel mercato del lavoro con opportunità di prima occupazione) e se lo specifico strumento normativo utilizzato sia idoneo a conseguire l’obiettivo (appropriatezza) e non vi siano alternative meno “invasive” (necessità). Se la Corte accoglierà l’impostazione dell’avvocato generale, la palla ritornerà alla Cassazione, che avrà il compito di giustificare o meno la differenziazione di trattamento in base all’età nel contratto a chiamata. Potrebbe essere una buona occasione, per rivedere l’istituto e dare al mercato del lavoro quelle risposte che l’abolizione dei voucher rende indifferibili.