ApprofondimentoRapporti di lavoro

Lavoro oltre il limite massimo di orario: il danno da usura psico-fisica

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Il superamento del limite massimo di orario di lavoro, nonché le trasferte effettuate, sono idonee a integrare la presunzione di sussistenza del danno da usura psico-fisica, rilevando altresì quali parametri di determinazione dell’entità e della liquidazione in via equitativa

Massima

  • Danni da usura psico-fisica – superamento limiti orario lavorativo – presunzione di sussistenza – quantificazione del danno Tribunale di Padova 6 marzo 2024

    Il danno da usura psico-fisica si inscrive nella categoria unitaria del danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale, presunto nell’an qualora la prestazione lavorativa ecceda di gran lunga i limiti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva e si protragga per diversi anni.

    Tale danno è distinto dal danno biologico, inteso quale lesione dell’integrità psico-fisica del soggetto, che si concretizza in una infermità fisica e/o psichica.

    Nel caso di specie, il superamento del limite massimo di orario di lavoro, nonché le trasferte effettuate, sono idonee a integrare la presunzione di sussistenza del danno da usura psico-fisica, rilevando altresì quali parametri di determinazione dell’entità e della liquidazione in via equitativa.

I fatti di causa

Il ricorrente veniva assunto con contratto di inserimento (stage), poi convertito in apprendistato finalizzato al raggiungimento della professionalità correlata al quarto livello del Contratto Collettivo Nazionale Commercio – Terziario.

Completato il periodo di apprendistato, il rapporto lavorativo proseguiva in forma di contratto a tempo indeterminato, fino alle dimissioni per giusta causa, rassegnate dal lavoratore dopo quasi otto anni di impiego presso la Società.

Ricorrendo al Giudice del...

  • [1] Nel caso esaminato della Suprema Corte, la domanda dei lavoratori era diretta ad ottenere il risarcimento del danno biologico, sicché si è ritenuto che il Tribunale avesse fatto “corretta applicazione” dei principi “laddove ha respinto la domanda dei lavoratori per non avere questi non solo provato, ma neppure offerto di provare, l’infermità subita ed il rapporto di derivazione causale di detta infermità dal mancato riposo settimanale”. La Corte di Cassazione ha specificato che i ricorrenti avrebbero impropriamente richiamato la giurisprudenza in materia di ristoro prestato oltre il settimo giorno consecutivo, pretendendo di poter ricorrere al regime probatorio per presunzioni.