Contenzioso

Lecito il licenziamento per anomalie emerse dal Gps

Per la Corte Ue il controllo non comprime i diritti relativi alla vita privata

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di Marina Castellaneta

Il licenziamento deciso dal datore di lavoro sulla base di dati raccolti da un sistema di geolocalizzazione per tracciare i chilometri percorsi, installato su un veicolo utilizzato durante l’attività lavorativa, è conforme alla Convenzione dei diritti dell’uomo.

Lo ha stabilito la Corte europea con la sentenza Gramaxo contro Portogallo (n. 26968/1616) con la quale Strasburgo fissa i criteri per assicurare il corretto bilanciamento tra diritti del lavoratore e del datore di lavoro e la possibilità di utilizzare i dati raccolti nel processo.È la prima volta che la Corte si pronuncia su un caso di sorveglianza sul lavoro attraverso il sistema di geolocalizzazione.

Un informatore scientifico, assunto da un’azienda farmaceutica che gli aveva fornito l’auto aziendale utilizzabile anche a fini privati, con successivo rimborso dei chilometri percorsi al di fuori dell’attività lavorativa, si era opposto alla decisione aziendale di installare i Gps sulle auto. Il dipendente considerava la decisione contraria alle regole sul trattamento dei dati personali. L’azienda, intanto, aveva avviato un procedimento disciplinare nei confronti del dipendente perché dai dati raccolti dal Gps era emerso che non aveva completato le otto ore di lavoro e aveva manipolato il Gps, anche rimuovendo la scheda Gsm dal dispositivo. Di qui l’avvio di un procedimento disciplinare e il successivo licenziamento.

I giudici interni di primo grado avevano respinto il ricorso del dipendente sostenendo che l’utilizzo del Gps non era un sistema di sorveglianza, mentre la Corte di appello lo aveva classificato come mezzo di sorveglianza vietato, ma ha ritenuto che, in parte, i dati sui chilometri percorsi potessero essere utilizzati poiché non rientravano nel controllo della prestazione lavorativa. Il dipendente si è così rivolto alla Corte europea dei diritti dell’uomo che ha, però, respinto il ricorso e, in sostanza, dato ragione al datore di lavoro.

Prima di tutto, la Corte europea sottolinea che il ricorrente era stato informato dell’installazione del Gps, strumento che certo può incidere sul diritto al rispetto della vita privata. Tuttavia, l’azienda aveva informato i dipendenti sottolineando che lo strumento serviva, nel contesto di un controllo delle spese aziendali, a controllare i chilometri percorsi, inclusi quelli relativi agli spostamenti privati, con la precisazione che sarebbe stato aperto un procedimento disciplinare nel caso di contrasto tra i dati rilevati e quelli indicati dal dipendente.

Pertanto, poiché erano stati considerati solo i dati di geolocalizzazione relativi ai chilometri percorsi, l’ingerenza nella vita privata del ricorrente è stata limitata e proporzionale rispetto allo scopo perseguito ossia il controllo delle spese aziendali. Di conseguenza, per la Corte europea non è stato violato l’articolo 8 della Convenzione perché le autorità nazionali hanno effettuato un giusto bilanciamento, in grado di preservare la vita privata nel contesto familiare, tra i diritti in gioco e non hanno violato l’obbligo positivo di garantire il diritto al rispetto della vita privata del ricorrente. Sdoganato anche l’utilizzo dei dati in sede giudiziaria per giustificare il licenziamento del ricorrente che non è una violazione del diritto all’equo processo.

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