Contenzioso

Licenziamento per g.m.o, accertamento del motivo e irrilevanza del carattere ritorsivo

di Enrico De Luca, Luca Cairoli

Con la sentenza n. 1514/2021, pubblicata in data 25 gennaio 2021, la Corte di Cassazione, richiamando principi ormai consolidati, fornisce un quadro preciso delle ragioni inerenti all'attività produttiva che legittimano l'irrogazione di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ribadendo peraltro che, una volta accertata la sussistenza del motivo posto alla base del recesso, risulta superflua l'indagine sul suo eventuale carattere ritorsivo.

La pronuncia della Corte trae origine dall'impugnazione promossa da una lavoratrice avverso una sentenza della Corte d'Appello di Cagliari che aveva dichiarato legittimo il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo dalla Congregazione religiosa presso cui la dipendente ricopriva mansioni di responsabile di struttura.

In particolare la Corte distrettuale aveva ritenuto legittimo il licenziamento in considerazione dell'andamento economico negativo delle strutture gestite dalla Congregazione le quali avevano imposto una riduzione dei costi ed una rimodulazione dell'organizzazione di lavoro, realizzata tramite la soppressione del posto di lavoro della dipendente che comportava il costo più elevato per la Congregazione con la conseguente attribuzione delle mansioni ad altra religiosa che invece prestava la sua opera senza corresponsione di retribuzione.

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denunciava violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n. 604 del 1966, nonché dell'art. 2697 cod. civ. adducendo che la Corte distrettuale avrebbe invertito, nella sua disamina, il rapporto di necessaria causalità tra soppressione della posizione della lavoratrice e riassegnazione delle sue mansioni ad altro personale, ritenendo erroneamente che quest'ultima potesse essere causa della prima e non già il contrario.

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il motivo di ricorso e, richiamandosi a quanto già affermato in precedenti pronunce, ha ribadito il principio per cui la ragione inerente all'attività produttiva (art. 3 legge n. 604 del 1966) è quella che determina un effettivo ridimensionamento riferito alle unità di personale impiegate in una ben individuata posizione lavorativa, a prescindere dalla ricorrenza di situazioni economiche sfavorevoli o di crisi aziendali (cfr. Cass. n. 25201 del 2016, Cass. n. 10699 del 2017, Cass. n. 24882 del 2017).

Fissato tale principio generale, la Corte si sofferma ad individuare le circostanze che legittimano l'irrogazione di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo fondato su una modifica della struttura organizzativa, le quali possono individuarsi sia nella esternalizzazione a terzi dell'attività a cui è addetto il lavoratore licenziato, sia nella soppressione della funzione cui il lavoratore è adibito sia nella ripartizione delle mansioni di questi tra più dipendenti già in forze (Cass. n. 21121 del 2004, Cass. n. 13015 del 2017, Cass. n.24882 del 2017) sia nella innovazione tecnologica che rende superfluo il suo apporto, sia nel perseguimento della migliore efficienza gestionale o produttiva o dell'incremento della redditività.

In tutti questi casi, prosegue la Corte, resta ferma la non sindacabilità dei profili di congruità ed opportunità delle scelte datoriali a cui fa da contraltare il controllo sia sulla effettività e non pretestuosità della ragione concretamente addotta dall'imprenditore a giustificazione del recesso sia sul nesso causale tra l'accertata ragione e l'intimato licenziamento.
Al riguardo, continua la Corte richiamando precedenti pronunce (cfr. Cass. n. 25201 del 2016 e da ultimo Cass. n. 3819 del 2020), l'andamento economico negativo dell'azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva e all'organizzazione del lavoro, determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa.

La Suprema Corte ha quindi respinto il primo motivo di ricorso della lavoratrice in quanto, nel caso di specie, la Corte territoriale aveva accertato la ricorrenza di una ristrutturazione organizzativa determinata dall'esigenza di ridurre i costi delle attività gestite dalla Congregazione fondando correttamente il riscontro di effettività sulla scelta aziendale di sopprimere il posto di lavoro occupato dalla lavoratrice (Responsabile della struttura) e la verifica del nesso causale tra soppressione del posto e le ragioni dell'organizzazione aziendale addotte a sostegno del recesso (adibizione di una religiosa appartenente alla Comunità con conseguente soppressione di costi del lavoro e consistente risparmi annuali al fine di ripianare una situazione economica compromessa).

Con il terzo motivo di ricorso la lavoratrice denunciava inoltre violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n. 604 del 1966, nonché degli artt. 1345, 2697, 2909 cod.civ., avendo la Corte distrettuale trascurato di utilizzare - quale elemento presuntivo della inesistenza del nesso causale tra l'asserita riorganizzazione aziendale e l'intimato licenziamento – la circostanza dell'esistenza di contrasti interni tra il personale religioso e la lavoratrice.

La Corte ha ritenuto infondato anche tale motivo di ricorso, ribadendo che, in tema di licenziamento nullo perché ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art. 1345 cod.civ. deve essere determinante, ed esclusivo.
Secondo la Corte il motivo illecito può ritenersi esclusivo e determinante quando il licenziamento non sarebbe stato intimato se il motivo illecito non ci fosse stato, dovendo quest'ultimo costituire l'unica effettiva ragione del recesso, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. L'esclusività sta infatti a significare che il motivo illecito può concorrere con un motivo lecito, ma solo nel senso che quest'ultimo sia stato formalmente addotto, ma non sussistente nel riscontro giudiziale.

Pertanto, solamente una volta riscontrato che il datore di lavoro non abbia assolto gli oneri su di lui gravanti e riguardanti la dimostrazione del giustificato motivo oggettivo, il giudice dovrà procedere alla verifica delle allegazioni poste a fondamento della domanda del lavoratore di accertamento della nullità per motivo ritorsivo.

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