Rassegne di giurisprudenza

Rassegna della Cassazione

- Contestazione disciplinare e principio di specificità <br/>- Contestazione disciplinare trasmessa via raccomandata <br/>- Accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro<br/>- Infortunio sul lavoro tra responsabilità datoriale e colpa del lavoratore<br/>- Licenziamento per giusta causa<b/>

a cura di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

Contestazione disciplinare e principio di specificità

Cass. Sez. Lav., 18 aprile 2023, n. 10237

Pres. Manna; Rel. Fedele; Ric. Om.; Controric. Om.

Contestazione disciplinare – Specificità – Fonti esterne – Rinvio – Ammissibilità

Il principio di specificità della contestazione disciplinare, che assolve alla funzione di consentire al lavoratore incolpato l'esercizio pieno del diritto di difesa, è rispettato anche attraverso il rinvio a fonti esterne, in quanto consente in concreto al lavoratore di conoscere i fatti contestati.

NOTA
La fattispecie oggetto del giudizio riguarda il licenziamento per giusta causa di un dipendente che aveva alterato il sistema informatico delle presenze.
La Corte di appello di Napoli respingeva il gravame del lavoratore avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato l'impugnazione del licenziamento.
In particolare, la Corte territoriale giudicava infondato il motivo di impugnazione relativo alla genericità della contestazione disciplinare.
Avverso tale decisione il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione.
La Suprema Corte ritiene immune da vizi l'iter argomentativo della Corte territoriale e precisa che il rinvio per relationem a fonti esterne non implica la genericità della contestazione disciplinare, ma anzi mette il lavoratore in condizione di conoscere i fatti addebitati contestualmente alla lettera di contestazione.
A riguardo la Cassazione richiama anche precedenti decisioni in cui si era osservato che «la previa contestazione dell'addebito necessaria nei licenziamenti qualificabili come disciplinari, ha lo scopo di consentire al lavoratore l'immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 cc; per ritenere integrata la violazione del principio di specificità è necessario che si sia verificata una concreta lesione del diritto di difesa del lavoratore e la difesa esercitata in sede di giustificazioni è un elemento concretamente valutabile per ritenere provata la non genericità della contestazione».


Contestazione disciplinare trasmessa via raccomandata


Cass. Sez. Lav., 5 aprile 2023, n. 9427

Pres. Doronzo; Rel. Patti; Ric G.S.; Controric. S.S.M. S.p.A.

Contestazione disciplinare – Spedizione a mezzo raccomandata – Tempestiva conoscenza – Prova di Consegna – Rilascio dell' avviso di giacenza – Ricevuta di spedizione – Sufficienza – Presunzione di conoscenza del destinatario – Sussistenza

Al fine di provare l'avvenuta consegna al lavoratore della contestazione (o del licenziamento) costituisce prova certa della spedizione la produzione in giudizio (così come di un telegramma) della lettera raccomandata con la relativa ricevuta di spedizione dall'ufficio postale. Da tale documento, anche in mancanza dell'avviso di ricevimento, consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell'ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo dell'atto al destinatario e della sua conoscenza, a norma dell'art. 1335 c.c.: superabile dalla prova contraria, a carico del destinatario, di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di non averne notizia.

NOTA
La fattispecie oggetto dell'ordinanza in commento riguarda la tempestività e l'effettività della comunicazione, via raccomandata, della contestazione disciplinare e del successivo licenziamento irrogato ad un dipendente per abuso di permessi ex legge 104/1992, utilizzati per esigenze personali, anziché per l'assistenza alla madre, come richiesti, oltre che per il comportamento tenuto durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia.
La Corte d'appello di Trieste, rigettando il reclamo del dipendente avverso la decisione di primo grado che aveva accertato la legittimità del licenziamento, ha ritenuto che la contestazione – depositata per il ritiro presso l'ufficio postale ai sensi dell'art. 140 c.p.c.– fosse tempestivamente conosciuta dal lavoratore in quanto pervenuta prima al suo indirizzo, dove è stata tentata la consegna (con l'inserimento nella cassetta postale, da parte del postino, dell'avviso di giacenza) e, in assenza del destinatario, resa disponibile per il ritiro presso l'ufficio postale, nel rispetto dei termini previsti per le giustificazioni del lavoratore. La Corte territoriale ha dunque ritenuto applicabile la presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c., tenuto conto anche dell'annotazione "AVV 22/12", indicante il rilascio, da parte dell'operatore di Poste Italiane, dell'avviso di giacenza sulla busta contenente la lettera di contestazione.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per Cassazione il dipendente.
La Suprema Corte, richiamato il proprio consolidato principio per cui «la produzione in giudizio (così come di un telegramma) della lettera raccomandata con la relativa ricevuta di spedizione dall'ufficio postale costituisce – anche in mancanza dell'avviso di ricevimento – prova certa della spedizione, e da essa consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell'ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo dell'atto al destinatario e della sua conoscenza, a norma dell'art. 1335 c.c.: superabile dalla prova contraria, a carico del destinatario, di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di non averne notizia», rigetta il ricorso osservando che la Corte d'appello di Trieste aveva correttamente applicato tale principio.



Accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro

Cass. Sez. Lav., 14 aprile 2023, n. 10050

Pres. Tria; Rel. Boghetich; Ric. T.M.; Contror. R.I.

Lavoro subordinato – Accertamento – Soggezione del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo – Elementi essenziali – Necessità – Altri elementi in funzione indiziaria – Efficacia probatoria sussidiaria – Possibilità

Costituisce elemento essenziale, e come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato.

NOTA
La Corte d'appello di Lecce, in riforma della sentenza del Tribunale di Brindisi, dichiarava la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, condannando T.M. al pagamento delle differenze retributive e del TFR. In particolare, la Corte riteneva che le prove raccolte dimostrassero il carattere subordinato del rapporto intercorso tra le parti, con continuità e con orario coincidente con l'apertura dell'esercizio commerciale di fiorista al quale R.I. era addetta.
T.M. proponeva ricorso per cassazione, eccependo violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 132 cod. proc. civ. e 2094 e 2697 cod. civ., per avere la Corte d'appello erroneamente ritenuto provata l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato valorizzando elementi probatori inconsistenti e manifestamente inidonei a dimostrare l'esistenza della subordinazione, non avendo viceversa la lavoratrice dimostrato l'eterodirezione, la continuità dell'attività lavorativa svolta e l'orario di lavoro osservato.
La Corte di cassazione precisa innanzitutto che «costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato» (in senso conforme, Cass. 4500/2007).
Il suddetto assoggettamento non rappresenta un dato di fatto elementare ma una modalità di essere del rapporto che può essere desunta da un complesso di circostanze. Pertanto, qualora esso non sia agevolmente apprezzabile, è possibile fare riferimento ad altri elementi (la continuità della prestazione, il rispetto di un orario di lavoro predeterminato, la percezione di un compenso prestabilito a cadenze fisse, l'assenza di rischio e di una struttura imprenditoriale del lavoratore, ecc.), che hanno carattere sussidiario ed una funzione indiziaria (in senso conforme, Cass. 4500/2007, Cass. 13935/2006, Cass. 9623/2002, Cass. SS.UU. 379/1999). Questi indizi saranno idonei ad integrare una prova presuntiva della subordinazione a condizione che di essi si faccia una valutazione complessiva e globale (in senso conforme, Cass. 9108/2012, Cass. SS.UU. 584/2008, Cass. 722/2007, Cass. 19894/2005, Cass. 13819/2003, Cass. SS.UU. 379/1999).
Secondo la Suprema Corte, il giudice di merito aveva correttamente applicato i principi sopra esposti ed esaminato gli elementi indiziari, dotati di efficacia probatoria sussidiaria ai fini della qualificazione del rapporto, e aveva ritenuto sussistenti tutti gli indici sintomatici della subordinazione. In particolare, la Corte d'appello aveva chiarito che la lavoratrice era sistematicamente inserita nell'organizzazione aziendale, metteva a disposizione le proprie energie lavorative (sia all'interno dell'esercizio commerciale, che nelle attività di consegna a domicilio e di allestimento di chiese per matrimoni), che utilizzasse strumenti forniti da T.M. e che fosse tenuta ad osservare un orario di lavoro determinato coincidente con l'apertura del negozio.
Per tutti i motivi che precedono, il ricorso viene rigettato.

Infortunio sul lavoro tra responsabilità datoriale e colpa del lavoratore

Cass. Pen., sez. IV., 7 marzo 2023, n. 9450

Pres. Serrao; Rel. Antezza; P.M. Costantini; Ric. Omissis; Contr. Omissis S.r.l.

Infortunio sul lavoro – DVR – Inidoneità – Valutazione dei rischi specifici – Assente – Responsabilità del datore di lavoro – Sussiste – Concorso di colpa del lavoratore – Non sussiste – Rischio eccentrico – Non sussiste

La condotta colposa del lavoratore è idonea a interrompere il nesso di causalità tra condotta ed evento se tale da determinare un "rischio eccentrico" in quanto esorbitante dall'area di rischio governata dal soggetto sul quale ricade la relativa gestione. La delimitazione, nella singola fattispecie, del rischio oggetto di valutazione e misura, quindi da gestire, necessita di una sua identificazione in termini astratti, quale rischio tipologico, e successiva considerazione con riferimento alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto della relativa esecuzione, quindi al rischio in concreto determinatosi in ragione dell'attività lavorativa (rientrante o meno nelle specifiche mansioni attribuite).

NOTA
La Corte d'Appello di Trieste in riforma della pronuncia resa dal giudice di prime cure condannava il datore di lavoro per lesioni personali gravi occorse ad un dipendente, commesse con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
In particolare, il lavoratore, intento a espletare le proprie mansioni di stoccaggio di materiale, aveva provveduto a spacchettare un pacco di travi eliminando le relative fascette mediante un profilo in ferro, in luogo delle apposite forbici, ed assumendo, rispetto al pacco di travi, una posizione di non sicurezza. Sicché, a causa della caduta di una trave dopo l'eliminazione di una delle due fascette e del non corretto posizionamento della seconda fascetta, il lavoratore subiva la frattura del piede, con conseguente accertamento, da parte della Corte di appello, della responsabilità del datore di lavoro per la mancata specifica previsione del relativo rischio nel DVR – documento di valutazione dei rischi; previsione cui aveva provveduto l'azienda solo all'esito delle successive prescrizioni impartitegli.
Avverso tale sentenza il datore di lavoro ha proposto ricorso in Cassazione sostenendo che la Corte territoriale avesse erroneamente valutato o comunque non considerato: il fattore occulto inseritosi nella seriazione causale dell'evento, consistente nell'errata legatura del pacco di travi; l'abnorme condotta colposa del lavoratore (operante con strumento non idoneo e senza osservare la dovuta posizione di sicurezza), tale da provocare conseguenze imprevedibili (la caduta delle travi), e il conseguente ragionevole dubbio circa l'idoneità di un completo DVR a evitare la concretizzazione del rischio specifico.
La Suprema Corte, in primo luogo, evidenzia che i giudici di appello «a fronte di una
imputazione prospettante il profilo di colpa inerente all'omessa predisposizione di un
idoneo DVR, con riferimento allo specifico rischio connesso all'attività di stoccaggio di travi previo spacchettamento, ha coerentemente e logicamente fondato il giudizio di responsabilità del datore imputato proprio sull'inidoneità del DVR con riferimento al rischio specifico, concretizzatosi nell'evento lesivo, recuperandone la valenza sostanziale di documento preordinato all'individuazione dei rischi volta alla concreta adozione di misure di prevenzione e protezione».
In tema di prevenzione degli infortuni – secondo la Suprema Corte – il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha, infatti, l'obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 28, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Con riferimento al caso di specie, conseguentemente, la Cassazione – dopo aver richiamato il principio di cui in massima in tema di comportamento colposo del lavoratore e idoneità (o meno) dello stesso ad interrompere il nesso di causalità tra condotta ed evento – ritiene immune da vizi, anche sotto questo aspetto, l'iter logico-giuridico seguito dalla Corte territoriale che ha fatto buon governo del principio sopra espresso, la cui rilevanza, di contro, il ricorrente vorrebbe negare facendo perno, oltre che su una condotta colposa del lavoratore – peraltro consistente nel non aver adottato le cautele che un idoneo DVR avrebbe dovuto prevedere – sul fattore ritenuto occulto, quale l'inidoneo imballaggio del pacco di travi eseguito dal fornitore.
Tale fattore, invece, sempre secondo la Suprema Corte, è stato sostanzialmente ritenuto tale da concorrere a integrare proprio la concreta attività svolta dal lavoratore e, in particolare, le condizioni di contesto della relativa esecuzione, rispetto alle quali non si mostra, difatti, "eccentrica" l'inidoneità dell'imballaggio delle travi oggetto di stoccaggio eseguito dal fornitore e sottoposte dal datore di lavoro al lavoratore per l'esecuzione dello stoccaggio.
Conclusivamente la Cassazione rigetta il ricorso del datore di lavoro condannandolo alle spese di lite.

Licenziamento per giusta causa


Cass. Sez. Lav., 14 aprile 2023, n. 10056

Pres. Doronzo; Rel. Patti; Ric. O.M. S.p.A.; Contr. L.C.

Minacce al dipendente del fornitore aziendale – Giusta causa – Tipizzazione della contrattazione collettiva delle ipotesi punite con il licenziamento – Valenza esemplificativa – Autonoma valutazione del giudice – Ammissibilità

Il giudice, nell'accertamento della sussistenza o meno della giusta causa di licenziamento, in quanto nozione legale, non è soggetto ad alcun vincolo derivante dalla tipizzazione contrattuale collettiva di "giusta causa", costituendo la scala valoriale formulata dalle parti sociali solo uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell'art. 2119 c.c. e spettando al giudice la valutazione di gravità del fatto e della sua proporzionalità rispetto alla sanzione irrogata dal datore di lavoro, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie

Art. 18 Fornero – Licenziamento disciplinare – Struttura bifasica dell'accertamento giudiziale – Distinte operazioni concettuali – Prima fase: ricognizione della ricorrenza di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo – Seconda fase (eventuale): verifica della sussistenza/insussistenza (ontologica) del fatto contestato o della assenza del carattere di illiceità

Si applica la tutela reintegratoria prevista dall'art. 18, quarto comma legge n. 300/1970 novellato, qualora sia ravvisata l'insussistenza del fatto contestato, comprensiva sia dell'ipotesi di assenza ontologica del fatto sia di quella di fatto sussistente, ma privo del carattere di illiceità; non già il difetto degli elementi essenziali della giusta causa o del giustificato motivo (cd. fatto "giuridico"), in quanto, nel sistema della legge n. 92/2012, il giudice deve in primo luogo accertare se sussistano o meno la giusta causa ed il giustificato motivo di recesso, e, nel caso in cui escluda la ricorrenza di una giustificazione della sanzione espulsiva, deve poi svolgere, al fine di individuare la tutela applicabile, una ulteriore disamina sulla sussistenza o meno delle condizioni normativamente previste per l'accesso alla tutela reintegratoria

NOTA
La Corte d'Appello di Bologna rigettava l'appello proposto dalla società datrice di lavoro contro la sentenza di primo grado che, in esito a procedimento svoltosi nelle forme del c.d. rito Fornero, aveva accertato l'illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore.
La Corte d'Appello, condividendo la decisione del Tribunale, riteneva che il comportamento contestato al lavoratore non avesse prodotto un «grave nocumento morale o materiale» all'azienda datrice di lavoro o che lo stesso non costituisse un «delitto a termine di Legge» (condotte punite dal CCNL Carta Industria con il licenziamento per giusta causa). Rilevava la Corte territoriale, infatti, che le minacce rivolte dal lavoratore al dipendente della fornitrice aziendale di bevande e snack non avrebbero potuto turbare la continuità del rapporto commerciale tra le aziende e che non era stata avanzata alcuna denuncia in proposito.
Avverso tale decisione la società datrice di lavoro ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, inter alia, la violazione e falsa applicazione dell'art. 18 legge n. 300/1970 e dell'art. 51 CCNL Carta Industria, per la rilevanza disciplinare, per violazione dell'obbligo di diligenza ex art. 2104 c.c., della minaccia al dipendente del fornitore aziendale, ponendo quindi la questione dell'incidenza della condotta sanzionata con il licenziamento disciplinare per giusta causa, sulla base degli standards sociali.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
Innanzitutto la Suprema Corte ricorda che il giudizio applicativo di una norma cd. «elastica», qual' è la clausola generale della giusta causa, presuppone da parte del giudice «un' attività ̀ di integrazione giuridica della norma a cui sia data concretezza ai fini del suo adeguamento ad un determinato contesto storico-sociale: in tale ipotesi ben potendo il giudice di legittimità censurare la sussunzione di uno specifico comportamento del lavoratore nell'ambito della giusta causa, in relazione alla sua intrinseca lesività degli interessi del datore di lavoro» (Cass. 15 aprile 2016, n. 7568; Cass. 2 settembre 2016, n. 17539; Cass. 10 luglio 2018, n. 18170; Cass. 6 settembre 2019, n. 22358). Ribadisce però la Corte di cassazione - come più ampiamente riportato nella massima – che il giudice non è vincolato dalla tipizzazione collettiva di «giusta causa» che infatti ha «valenza meramente esemplificativa, non preclusiva della sua valutazione in ordine all'idoneità di un grave inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, all'irreparabile rottura del rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore» (Cass. 18 febbraio 2011, n. 4060; Cass. 12 febbraio 2016, n. 2830; Cass. 24 agosto 2018, n. 21162). Ricorda poi la Corte di cassazione che «ben può il giudice far riferimento alle valutazioni delle parti sociali di gravità di determinate condotte come espressive di criteri di normalità, dovendo appunto "tenerne conto", anche a norma dell'art. 30, terzo comma legge n. 183/2010», con il solo limite per il giudice «di non potere, qualora un determinato comportamento del lavoratore addotto dal datore di lavoro a giusta causa di licenziamento sia previsto dal contratto collettivo integrare una specifica infrazione disciplinare cui corrisponda una sanzione conservativa, farne oggetto di un'autonoma valutazione di maggior gravità» (Cass. 17 giugno 2011, n. 13353; Cass. 7 maggio 2015, n. 9223; Cass. 7 maggio 2020, n. 8621).
Ciò precisato, la Corte di Cassazione ritiene che la Corte territoriale abbia fatto corretta applicazione dei suddetti principi avendo in particolare escluso la produzione alla società datrice di lavoro di un «grave nocumento morale o materiale», posto che le minacce eventualmente poste in essere dal lavoratore non avrebbero potuto in ogni caso turbare il fornitore o mettere in dubbio la continuità del rapporto commerciale tra le aziende, né rappresentare un'azione integrante un «delitto a termine di Legge» avendo lo stesso dipendente del fornitore dichiarato di non aver sporto denuncia per tale fatto, sicchè l'asserita condotta del lavoratore doveva ritenersi «priva di qualsiasi offensività».
Quanto, infine, all'applicabilità della tutela reintegratoria, la Corte di cassazione ribadisce il principio indicato nella massima sopra riportata, richiamando sul punto sue precedenti decisioni (Cass. 5 dicembre 2017, n. 29062; Cass. 7 febbraio 2019, n. 3655; Cass. 10 febbraio 2020, n. 3076).

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