Rassegne di giurisprudenza

Rassegna della Cassazione

Giudizio penale e procedimento disciplinare Licenziamento disciplinare Licenziamento per giustificato motivo oggettivo Natura subordinata del rapporto di lavoro Licenziamento per soppressione della posizione del dirigente

a cura di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

Giudizio penale e procedimento disciplinare

Cass. Sez. Lav., 10 gennaio 2023, n. 398

Pres. Tria; Rel. Michelini; Ric. A.A.; Controric. S. S.p.A.

Procedimento disciplinare – Giusta causa – Procedimento penale – Giudizio di assoluzione – Irrilevanza – Autonoma valutazione dei fatti sotto il profilo disciplinare – Ammissibilità

Il giudicato di assoluzione nel processo penale non determina l'automatica archiviazione del procedimento disciplinare perché, fermo restando che il fatto non può essere ricostruito in termini difformi, non si può escludere che lo stesso, inidoneo a fondare una responsabilità penale, possa comunque integrare un inadempimento sanzionabile sul piano disciplinare; il giudice del lavoro adito con impugnativa di licenziamento, che sia stato comminato in base agli stessi comportamenti che furono oggetto di imputazione in sede penale, non è obbligato a tener conto dell'accertamento contenuto nel giudicato di assoluzione del lavoratore, ma ha il potere di ricostruire autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti materiali e di pervenire a valutazioni e qualificazioni degli stessi svincolate dall'esito del procedimento penale.

NOTA

Nella fattispecie, un dirigente agiva in giudizio impugnando il proprio licenziamento per giusta causa e chiedendo la condanna del datore di lavoro al pagamento dell'indennità di mancato preavviso nonché al risarcimento del danno patito.

La domanda veniva rigettata sia in primo grado che in appello.

La Corte d'Appello, in particolare, motivava la propria pronuncia di rigetto sottolineando come dovesse ritenersi rilevante sotto il profilo disciplinare – e come integrasse giusta causa di recesso – il fatto che il ricorrente fosse stato il referente ed avesse intrattenuto rapporti con una serie di persone condannate per reati in danno della società, nonostante egli fosse stato assolto in sede penale con riferimento a tali condotte.

Avverso tale decisione proponeva ricorso per Cassazione il dirigente, denunciando, tra il resto, l'erroneità della sentenza d'appello per avere la Corte ritenuto disciplinarmente rilevante la circostanza che il ricorrente avesse intrattenuto relazioni personali con soggetti condannati, tenuto conto che, in sede penale, egli era stato assolto dalle accuse riconnesse a dette relazioni e che, dunque, i fatti contestati non costituivano reato.

A fronte di tali censure, la Cassazione rigetta integralmente il ricorso.

In particolare – precisato che l'attività di integrazione del precetto normativo di cui all'art. 2119 c.c., compiuta dal giudice di merito ai fini dell'individuazione della giusta causa di licenziamento non può essere censurata in sede di legittimità, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale – la Corte conferma le precedenti pronunce di merito, che correttamente erano «pervenute alla conclusione che tutto il quadro complessivamente emerso nel corso del giudizio fosse idoneo a determinare la rottura insanabile del vincolo fiduciario tra la società datrice di lavoro ed il proprio dirigente a parte i procedimenti penali che hanno riguardato la società».

La Cassazione, dunque, si pronuncia come da massima, specificando, altresì, che – con riguardo «alla rilevanza delle sentenze penali nel procedimento disciplinare» – «opera il principio generale secondo cui il giudicato non preclude, in sede disciplinare, una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale attesa la diversità dei presupposti delle rispettive responsabilità».

Licenziamento disciplinare

Cass. Sez. Lav., 3 gennaio 2023, n. 88

Pres. Tria; Rel. Michelini; Ric. S.M.; Controric. A.D. S.p.A.

Licenziamento disciplinare – Medesima condotta di altro lavoratore non sanzionato – Discriminatorietà – Esclusione – Discrezionalità disciplinare – Ammissibilità

Ai fini della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, qualora risulti accertato che l'inadempimento del lavoratore licenziato sia stato tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, è di regola irrilevante che un'analoga inadempienza, commessa da altro dipendente, sia stata diversamente valutata dal datore di lavoro; tale valutazione costituisce un accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità se privo di vizi logici evidenti, con la conseguenza che non è qualificabile come discriminatorio l'esercizio di discrezionalità disciplinare datoriale in relazione a posizioni differenziate, ove ancorato a specifici elementi di fatto.

NOTA

Il Tribunale di Milano ha dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare intimato da una società ad un dirigente con funzioni di responsabile della Direzione rischio e gestione crediti e ha condannato la società a corrispondergli l'indennità sostitutiva del preavviso e 15 mensilità di retribuzione a titolo di indennità supplementare. La Corte d'Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato le domande di accertamento dell'ingiustificatezza del licenziamento e di condanna al pagamento dell'indennità supplementare, con conferma delle ulteriori statuizioni di merito contenute nella sentenza appellata, e con condanna dell'originario ricorrente a restituire le somme nette percepite a titolo di indennità supplementare in esecuzione della sentenza di primo grado. La Corte territoriale, in particolare, ha rilevato che erano provati ed idonei a giustificare il licenziamento gli addebiti della contestazione disciplinare relativi all'applicazione di nuove regole sulla gestione dei crediti e all'aver disatteso le direttive aziendali che imponevano di attendere l'autorizzazione del nuovo amministratore delegato, nonché all'organizzazione di una riunione del Comitato Credito senza convocare l'AD. Secondo i giudici di secondo grado, «tali condotte erano da reputarsi inappropriate rispetto al ruolo dirigenziale attribuito ed idonee a fondare la decisione, non arbitraria né pretestuosa, del datore di lavoro di porre fine al rapporto, tenuto conto dei rilevanti compiti strategici del dirigente».

Per contro, tali condotte erano da valutarsi non integranti gli estremi della giusta causa e non giustificanti il licenziamento senza preavviso. La Corte d'Appello ha così riformato il capo della sentenza del Tribunale che aveva dichiarato l'ingiustificatezza del licenziamento e condannato la società al pagamento dell'indennità supplementare.

Avverso la sentenza della Corte d'Appello ha proposto ricorso per Cassazione il lavoratore lamentando tra il resto che «la Corte d'Appello avrebbe omesso di valutare il fatto che gli addebiti mossi erano imputabili alla responsabilità di altri soggetti a cui non era stato contestato alcun fatto, mentre l'esame di tale fatto avrebbe indotto la Corte a ritenere il licenziamento arbitrario e illegittimo».

La Corte ha rigettato il ricorso affermando che il motivo non è fondato. I giudici di legittimità hanno ricordato l'orientamento, costante, secondo il quale «ai fini della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, qualora risulti accertato che l'inadempimento del lavoratore licenziato sia stato tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, è di regola irrilevante che un'analoga inadempienza, commessa da altro dipendente, sia stata diversamente valutata dal datore di lavoro; tale valutazione costituisce un accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità̀ se privo di vizi logici evidenti, con la conseguenza che non è qualificabile come discriminatorio l'esercizio di discrezionalità̀ disciplinare datoriale in relazione a posizioni differenziate, ove ancorato a specifici elementi di fatto».

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Cass. Sez. Lav., 12 gennaio 2023, n. 752

Pres. Raimondi; Rel. Boghetich; P.M. Mucci; Ric. S.D.; Controric. P.G. S.r.l.

Licenziamento per motivo oggettivo – Riorganizzazione aziendale – Contrazione del fatturato – Nesso di causalità intercorrente tra il calo di volume di affari e il licenziamento – Assunzione di nuovo personale – Incoerenza – Sussiste

La valutazione del nesso di causalità tra esigenze di riorganizzazione del personale riferibili alla contrazione del fatturato e il licenziamento del lavoratore non risulta coerente con l'assunzione di altri lavoratori avvenuta proprio durante l'anno che ha presentato il calo dei ricavi.

NOTA

La Corte d'Appello di Potenza, in riforma del provvedimento reso dal giudice di prime cure, giudicava legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogato a una lavoratrice in ragione del calo di fatturato e dell'incremento dei costi del personale registrati.

Secondo la Corte distrettuale l'assunzione di due nuovi lavoratori nel periodo antecedente al recesso non comportava l'illegittimità del licenziamento essendosi resa necessaria per sopperire all'assenza della ricorrente nel periodo di maternità. Pertanto, l'effettiva ricorrenza del decremento economico era sufficiente, da sola, a legittimare la risoluzione del rapporto di lavoro per ragioni oggettive.

Contro il provvedimento reso dal giudice di seconde cure ha promosso ricorso in Cassazione la lavoratrice lamentando l'insussistenza del nesso causale tra la motivazione addotta dalla Società (incremento dei costi del personale e calo di fatturato) e la scelta di recedere dal rapporto di lavoro instaurato, posto che la compressione dei ricavi era legata, di fatto, all'assunzione di altri lavoratori.

Ebbene, la Suprema Corte di Cassazione, accogliendo integralmente il ricorso avanzato dal prestatore, ha osservato come: «la valutazione del nesso di causalità tra esigenze di riorganizzazione del personale riferibili alla contrazione del fatturato e il licenziamento del lavoratore non risulta coerente con l'assunzione di altri lavoratori avvenuta proprio durante l'anno che ha presentato il calo dei ricavi», pur ribadendo la sufficienza, ai fini della legittimità del recesso, di: «ragioni inerenti all'attività produttiva e all'organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività».

Natura subordinata del rapporto di lavoro

Cass. Sez. Lav. ord. 16 gennaio 2023, n. 1095

Pres. Raimondi; Rel. Caso; Ric. S. S.p.A.; Contr. Q.G.

Lavoro autonomo – Rivendicazione della natura subordinata – Prova – Eterodirezione non apprezzabile – Potere direttivo e di controllo – Necessità – Indici sussidiari – Valutazione complessiva e globale – Nomen iuris – Ricerca della volontà delle parti – Necessità

Quanto allo schema normativo di cui all'art. 2094 c.c., costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato. Tale assoggettamento non costituisce un dato di fatto elementare quanto piuttosto una modalità di essere del rapporto potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze; sicché, ove esso non sia agevolmente apprezzabile, è possibile fare riferimento, ai fini qualificatori, ad altri elementi (come, ad esempio, la continuità della prestazione, il rispetto di un orario predeterminato, la percezione a cadenze fisse di un compenso prestabilito, l'assenza in capo al lavoratore di rischio e di una seppure minima struttura imprenditoriale), che hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria. Tali elementi, lungi dall'assumere valore decisivo ai fini della qualificazione giuridica del rapporto, costituiscono indizi idonei ad integrare una prova presuntiva della subordinazione, a condizione che essi siano fatto oggetto di una valutazione complessiva e globale.

NOTA

La Corte d'Appello di Firenze riformava la sentenza resa dal giudice di prime cure con cui era stata rigettata la domanda, avanzata da un lavoratore autonomo, di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con la datrice di lavoro convenuta in giudizio.

In particolare, la Corte territoriale reputava «provata la natura subordinata e a tempo indeterminato del rapporto lavorativo dedotto in causa».

Avverso tale decisione la datrice di lavoro ha proposto ricorso per Cassazione.

La Corte di cassazione ritiene infondato il ricorso chiarendo che la Corte d'Appello «non avendo trovato prova diretta della c.d. eterodirezione» ha correttamente «fatto ricorso ad elementi indiziari, significativi della subordinazione nel caso particolare», precisando di aver considerato anche «la qualificazione data dalle parti al loro rapporto, anzi, ai rapporti (trattandosi di plurimi incarichi di consulenza apparentemente di natura autonoma); qualificazione che, pur non vincolante ed esaustiva ai fini della decisione, rappresenta comunque sempre il punto di partenza dell'indagine del giudice», e, peraltro, ponendo «in luce l'estrema genericità dell'indicazione nei contratti di lavoro dell'oggetto della prestazione, e non quindi la presenza in essi dell'indicazione di un risultato, che poteva addirsi a rapporti di lavoro autonomo».

In sostanza, nei giudizi aventi ad oggetto l'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro formalmente autonomo, ove non sia agevolmente apprezzabile l'elemento dell'eterodirezione, è possibile fare riferimento, ai fini qualificatori, ad altri indici sussidiari con funzione indiziaria, quali l'oggetto generico della collaborazione indicato nel contratto, il compenso commisurato alle giornate lavorative, l'utilizzo di strumenti di lavoro forniti dal committente, il controllo orario e giornaliero della prestazione del collaboratore da parte del committente, la disponibilità ad operare nelle fasce orarie richieste.

Con riferimento al caso di specie, la Suprema Corte ritiene, dunque, che la Corte territoriale abbia fatto corretta applicazione del principio di diritto di cui alla massima.

Licenziamento per soppressione della posizione del dirigente

Cass. Sez. Lav., 19 gennaio 2023, n. 1581

Pres. Raimondi; Rel. Garri; P.M. Visonà; Ric. U.X. S.p.A.; Controric M.T.

Lavoro subordinato – Dirigente – Licenziamento per soppressione della posizione – Obbligo di repêchage – Non sussiste

Ai fini della giustificatezza del licenziamento del dirigente il cui rapporto di lavoro sia stato risolto in occasione della soppressione del posto presso il quale era stato occupato non si accompagna un obbligo per il datore di lavoro di verificare l'esistenza in azienda di altre posizioni utili presso cui ricollocarlo. Tale eventualità è inconciliabile con la stessa posizione dirigenziale del lavoratore, posizione che, d'altro canto, giustifica la libera recedibilità del datore di lavoro senza che possano essere richiamati i principi elaborati dalla giurisprudenza per la diversa ipotesi del licenziamento per giustificato motivo del non dirigente

Lavoro subordinato – Indennità sostitutiva del preavviso – TFR – Computo – Esclusione – Ratio

L'indennità di mancato preavviso non rientra nella base di computo del T.f.r. poiché essa non è dipendente dal rapporto di lavoro essendo invece riferibile ad un periodo non lavorato, una volta avvenuta la cessazione del detto rapporto

NOTA

Nel caso di specie il lavoratore, dirigente con mansioni di Direttore Centrale presso la società datrice di lavoro e poi di Vice Direttore Generale area commerciale e operations in distacco presso altra società, subiva prima la cessazione del distacco a seguito dell'avocazione all'AD (con soppressione quindi della posizione affidata al dirigente) della direzione dell'area commerciale presso la distaccataria e conseguentemente il licenziamento per impossibilità di ricollocazione presso la datrice di lavoro. Il dirigente impugnava il licenziamento in quanto, a suo dire, ben avrebbe potuto essere ricollocato in altra posizione o nuovamente distaccato, e comunque richiedeva il computo dell'indennità sostitutiva del preavviso nella base di calcolo per il TFR con conseguente richiesta di condanna della datrice all'integrazione di quanto già corrisposto.

La Corte d'Appello investita della questione sosteneva, tra l'altro, la inapplicabilità dell'obbligo di repêchage ai dirigenti e la necessità di computare l'indennità sostitutiva del preavviso nel calcolo del TFR in quanto somma sostitutiva della retribuzione.

Contro la decisione della Corte d'Appello ricorrevano in Cassazione tanto il dirigente, lamentando – tra le altre cose – che non vi fosse prova della impossibilità di essere adibito ad altre posizioni presso la distaccante, quanto la società, per la quale la Corte avrebbe errato nel considerare l'indennità sostitutiva del preavviso nel calcolo del TFR, stante il suo carattere di somma corrisposta in via eccezionale e non di emolumento continuativo.

La Suprema Corte ha dichiarato infondata la doglianza proposta dal dirigente, mentre ha accolto il motivo di ricorso presentato dalla società.

Con riferimento al primo aspetto, la Cassazione ha confermato un suo costante orientamento per cui è da escludersi che, ai fini della giustificatezza del licenziamento del dirigente per soppressione del posto cui lo stesso è assegnato, il datore di lavoro sia tenuto a verificare la sussistenza di altre posizioni in azienda presso cui utilmente ricollocarlo. Ciò in quanto la libera recedibilità è connaturata alla stessa natura della posizione dirigenziale e l'obbligo di repêchage, previsto per il personale non dirigente, sarebbe inconciliabile con tale natura.

Con riferimento al secondo aspetto, invece, la Corte ha ribadito il suo orientamento per cui l'indennità di mancato preavviso non vada inclusa nel calcolo del TFR in quanto non è dipendente dal rapporto di lavoro, essendo invece riferibile ad un periodo non lavorato.La Corte ha, dunque, respinto il ricorso del dirigente e accolto quello della società datrice, limitatamente a quanto sopra, rinviando alla Corte d'Appello di Brescia in diversa composizione.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©