Politiche attive

Reddito corretto per rafforzare la spinta al lavoro

Enti locali più coinvolti nella gestione di chi non può lavorare

Reddito di cittadinanza. In arrivo robuste modifiche alla misura

di Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci

Un reddito di cittadinanza che non si tradurrà più in un “assegno perpetuo” ma avrà più paletti e obblighi per spronare i percettori occupabili ad attivarsi per l’inserimento lavorativo. Per coloro che invece non possono lavorare ci sarà un maggior coinvolgimento degli enti locali che meglio conoscono le situazioni di vera necessità e disagio, anche in chiave di prevenzione contro gli abusi. Si va, dunque, verso robuste modifiche al Rdc non solo contro i “furbetti”, ma soprattutto per migliorarlo nel lato oggi più debole, quello delle politiche attive che non è mai realmente decollato. «Vogliamo un reddito che, giustamente, dia un sostegno vero a chi è nelle fasce di maggiore difficoltà e non può lavorare - spiega al Sole 24 Ore il responsabile Lavoro della Lega, Claudio Durigon -. Invece la misura dovrà essere più spronante per chi può lavorare».

La proposta in arrivo contiene una serie di modifiche normative: una nuova tempistica di fruizione del sussidio, con un rafforzamento della condizionalità. È previsto un coinvolgimento maggiore delle Agenzie per il lavoro, per rendere più efficiente l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro. Saranno meglio dettagliati obblighi e diritti dei percettori abili al lavoro: «Chi può lavorare non potrà stare più in poltrona e continuare a beneficiare dell’assegno» sintetizza Durigon. Del resto il dossier Rdc è all’esame della neoministra del Lavoro, Marina Calderone, che in qualità di presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro ha più volte sottolineato la necessità di separare le misure di sostegno economico per le famiglie sotto la soglia di povertà, dalle politiche attive del lavoro rivelatesi fallimentari.

Al Festival del lavoro, Calderone aveva proposto una riforma delle politiche attive per valorizzare il ruolo dei Centri per l’impiego rafforzando la collaborazione tra il sistema pubblico e quello privato. In quell’occasione si sottolineò anche come l’utilizzo della blockchain, consentirebbe la creazione e la verifica delle informazioni con maggiore velocità, sicurezza e trasparenza, facilitando il matching tra domanda e offerta di lavoro con la creazione del fascicolo elettronico del lavoratore contenente i dati relativi alla professionalità acquisita e alla formazione.

Un quadro del Rdc è tracciato dall’ultimo rapporto dell’Anpal al 30 giugno: sui 2,3 milioni di percettori (1 milione di nuclei) in 920mila sono considerati in grado di lavorare. Tra questi, dopo una prima scrematura dei centri per l’impiego in 660mila (72%) dovevano essere presi in carico, ma solo in 280mila (42,5%) hanno stipulato il Patto per il lavoro. In 173mila (18,8%) risultano avere un lavoro (dal 26% del Centro Italia al 15,3% delle Isole). Agli occupati working poor che continuano a percepire il sussidio, si aggiungono circa 40mila che hanno perso il diritto, perché hanno superato i limiti reddituali per il Rdc. La platea occupabile appare poco “appetibile” per le imprese: nel 73% dei casi non ha mai avuto un contratto di lavoro dipendente o in para-subordinazione nei tre anni precedenti. Il 70,8% ha al massimo un titolo di scuola secondaria inferiore e solo il 2,8% un titolo di livello terziario, un quarto ha un diploma di scuola secondaria superiore. Numeri che dovrebbero spingere a intervenire per rafforzare gli obblighi formativi di questa platea di percettori.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©