Contrattazione

Costo lavoro: Italia al top dopo il Belgio, il cuneo pesa in busta paga per il 107%

di Claudio Tucci

Un single, con Isee zero, da aprile-maggio, potrebbe arrivare a prendere un reddito di cittadinanza mensile, esente dal pagamento Irpef, di 780 euro, incluso il rimborso (parziale) per il canone di locazione. Uno stipendio mediano di un under30 al primo impiego è di 830 euro netti al mesi (910 euro al Nord, 740 euro al Sud). Ma per un’impresa qual è il corrispettivo, complessivo, effettivamente dovuto per pagare uno stipendio mensile a un proprio dipendente? Su una retribuzione netta di mille euro, per esempio, il costo reale per l’imprenditore è di 1.828 euro. Su un salario, ancora più elevato, prendiamo il caso di 3mila euro netti mensili, l’esborso per il datore arriva al top: 7.311 euro.

Questo perché, come mostra l’analisi dettagliata del Centro studi Confindustria (CsC), che pubblichiamo qui in pagina, un’azienda è tenuta a versare il lordo e i contributi a proprio carico, e poi sulla medesima busta paga lorda c’è anche il lavoratore che deve pagare Irpef, addizionali regionali e locali, e una quota di contribuzione.

Insomma, il lavoro subordinato costa (e non poco); e nonostante annunci (tanti) e interventi concreti (pochi) il cuneo fiscale e contributivo - vale a dire la differenza tra quanto viene accreditato in stipendio e il costo del lavoro - continua a rappresentare per aziende e lavoratori un macigno che frena crescita, competitività, aumento della produttività e, soprattutto, delle buste paga (un peso simile non esiste, per esempio, sul lavoro autonomo, creando una disparità di trattamento e di coperture che oggi andrebbero almeno riconsiderate).

In questo quadro si comprendono meglio le preoccupazioni di esperti ed operatori su un possibile effetto “spiazzamento” con l’arrivo del reddito di cittadinanza, il cui assegno massimo è troppo alto (rispetto alle retribuzioni mediane di under30 al primo impiego), e ciò, quindi, potrebbe scoraggiare i percettori nella ricerca di un impiego.

«I bassi salari in Italia sono la conseguenza di due fattori – sottolinea il vice presidente di Confindustria per il Lavoro e le relazioni industriali, Maurizio Stirpe – . Il primo è lo scarso legame con la produttività, che cresce troppo lentamente. Il secondo è il cuneo fiscale e contributivo che appesantisce di molto i costi e di cui i lavoratori dipendenti non hanno un’immediata percezione».

Non è un mistero, del resto, che da noi il costo del lavoro è arrivato ormai a livelli monstre. In pratica, fatto 100 il salario netto c’è da aggiungere un altro 107% di tasse e contributi (l’esempio del CsC è su un lavoratore single che guadagna 31mila euro lordi l’anno, e che è tenuto a pagare il 32% di imposte sul reddito personale, un altro 14% di contributi a suo carico, fermo restando il 61% di contribuzione che pesa sull’azienda). Peggio dell’Italia c’è solo il Belgio. Meglio di noi tutti i paesi nostri competitor, non solo Germania, Francia. Ma anche, più distanti, Spagna e Regno unito.

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