Rapporti di lavoro

L’Inps limita l’intervento del Fondo di garanzia per pagare il Tfr in caso di cessione e fallimento d’azienda

di Antonio Carlo Scacco

In materia di responsabilità del pagamento del trattamento di fine rapporto in caso di cessione d'azienda (o ramo di essa) si segnala un primo orientamento giurisprudenziale secondo cui l'unico debitore dovrebbe essere, anche per il periodo lavorativo alle dipendenze del cedente, il cessionario (da ultimo, Cassazione 9 agosto 2004, numero 15371).

Secondo tale indirizzo, il diritto al pagamento in capo al lavoratore sorgerebbe solo al momento della effettiva cessazione del rapporto di lavoro (che in caso di cessione di azienda, ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile, prosegue normalmente col cessionario), e sarebbe distinto dall'altro suo diritto all'ottenimento delle informazioni delle quote maturate. Tale orientamento è stato tuttavia superato dall'altro, di segnale opposto (e da considerarsi ormai prevalente), secondo cui «il meccanismo di accantonamento previsto dall'art. 2120 cod. civ. permette di ravvisare diritti soggettivi del lavoratore anche nel corso del rapporto, tutelati sia con l'azione di mero accertamento sia con l'azione di condanna al pagamento delle anticipazioni permesse dallo stesso art. 2120 cod. civ.» (Cass. n. 24635/2009).

Inoltre, attesa la funzione del Tfr di retribuzione differita maturata anno per anno, prevale il nesso di sinallagmaticità tra prestazione lavorativa e controprestazione dovuta dal datore di lavoro che della stessa abbia beneficiato. In tali termini il datore di lavoro cedente rimane obbligato nei confronti del lavoratore ceduto limitatamente alla quota maturata durante il periodo lavorativo fino alla cessione, mentre il cessionario è obbligato per la parte maturata successivamente (ad esempio Cassazione 20837/2013).

Ma cosa succede nel caso di insolvenza del datore di lavoro (cedente o cessionario)? In tali casi opera il Fondo di garanzia istituito presso l'Inps (legge 297/1982), il quale, tra i requisiti necessari per l'intervento, prevede la cessazione del rapporto di lavoro. La posizione dell'istituto, espressa nella circolare 78/2008, si discosta dall'ultimo orientamento giurisprudenziale ritenendo che «il requisito della cessazione del rapporto di lavoro deve essere valutato con attenzione in tutti i casi di trasferimento d'azienda, compresi l'affitto e l'usufrutto». Infatti, si legge nella circolare, «l'art. 2112 c.c., in materia di “Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di azienda” prevede, di regola, la continuazione del rapporto di lavoro con il cessionario, che pertanto è l'unico obbligato a corrispondere il Tfr, anche per la parte maturata alle dipendenze dell'impresa cedente». E, avuto riguardo alla specifica casistica della eventuale insolvenza «ne consegue che, se il datore di lavoro insolvente è il cedente, il Fondo non sarà tenuto ad intervenire in quanto il Tfr dovrà essere corrisposto per l'intero dal cessionario; al contrario, in caso di fallimento del cessionario, il fondo sarà tenuto a corrispondere l'intero Tfr maturato».

Tale interpretazione è stata successivamente confermata dalla stessa Inps con la circolare 89/2012. In ogni caso il presupposto dell'intervento del Fondo è la cessazione del rapporto di lavoro: così il fallimento del cedente intervenuto in data successiva alla cessazione o all'affitto del ramo d'azienda, con conseguente trasferimento del personale del ramo ceduto, ne impedisce l'intervento (Tribunale di Pistoia 10 settembre 2007 ,n. 827).

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