Previdenza

Un primo passo per promuovere l’efficienza dei fondi pensione

di Claudio Pinna

Nel mercato asfittico della previdenza complementare italiana, dove solo un lavoratore dipendente su quattro risulta iscritto ad un fondo pensione, dove il patrimonio complessivo accantonato si aggira intorno al 6-7% del prodotto interno lordo, (fino agli anni immediatamente precedenti la crisi risultava pari a circa il 3% perché il Pil era più alto,) le disposizioni contenute nel disegno di legge sulle liberalizzazioni presentate dal governo Renzi possono sicuramente rappresentare una prima scossa per il settore.
Nella sostanza il decreto affronta due punti dell'attuale normativa che in diversi casi, e sotto certi aspetti anche in maniera ingiustificata, hanno provocato perplessità tra i lavoratori e talvolta influenzato la decisione finale di non aderire ai fondi pensione: la mancata chiarezza sulla possibilità di poter riscattare la prestazione maturata (il “mito”, perché cosi era con il Tfr, di ricevere tutta la posizione accumulata sotto forma di capitale) e la facoltà di poter selezionare il fondo pensione più gradito presente sul mercato, indipendentemente dalla composizione degli organi sociali, usufruendo in ogni caso del contributo aziendale.
Ebbene, qualora il decreto sia approvato nella sua attuale struttura, tutto questo sarà sostanzialmente possibile e un numero più elevato di lavoratori potrebbe effettivamente decidere di iscriversi a un fondo pensione. Le disposizioni emanate rappresentano però una sorta di aggiustamento tattico del quadro normativo. Al più presto sarà necessario ridefinire anche la struttura di lungo termine del nostro sistema pensionistico e in particolare, considerando le forti pressioni che il contesto economico manifesta sui sistemi a ripartizione, il ruolo della previdenza complementare.
In primis bisognerà quindi spiegare ai lavoratori: che in futuro sarà bene richiedere la prestazione sotto forma di rendita e non di capitale, perché necessaria a ricevere un reddito complessivo finale in linea con le esigenze di spesa personale; che il rendimento previsto dalle forme pensionistiche è direttamente correlato al rischio dell'investimento; che i fondi pensione contrattuali in genere prevedono costi di gestione più contenuti di quelli aperti.
Poi bisognerà definire l'ambito di intervento dei fondi pensione e la relativa fiscalità del settore, se possibile in linea con le prassi internazionali. La previdenza complementare, ad esempio, se finanziata in maniera adeguata, potrebbe sicuramente agevolare i pensionamenti anticipati e le integrazioni delle prestazioni finali garantite dal sistema pubblico. Il punto però più rilevante di lungo termine sarà quello di rendere il nostro paese il posto ideale dove costituire i fondi pensione paneuropei (quelli cioè dove vengono iscritti anche i lavoratori di altri paese dell'Ue). Oggi per un dipendente olandese, belga, irlandese, eccetera, i nostri fondi pensione non risultano essere assolutamente di primo interesse. La globalizzazione produrrà i suoi effetti anche sulla previdenza privata.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©