Rapporti di lavoro

Attesa, mista a sfiducia, per l’avvio delle politiche attive

di Adriano Moraglio

Le maggiori attese (ma con un velo di scetticismo) sono tutte per l'avvio dell'Agenzia nazionale per le politiche attive per il lavoro, mentre lo stato d'animo complessivo sui risultati del Jobs act, in termini di reale nuova occupazione, è perlopiù di sfiducia. È il quadro non proprio positivo emerso ieri dalle interviste ad alcuni partecipanti alla settima edizione di Tuttolavoro che si è nella sede del Sole 24 Ore a Milano. Tra gli intervistati anche la denuncia di ritardi nell'attuazione di altri provvedimenti. È il caso del consulente del lavoro, Gabriele Zelioli, operativo in uno studio professionale tra Milano e Cremona: «Siamo di fronte - rileva - a ritardi nei decreti attuativi per alcuni contratti, come quelli per il lavoro intermittente e a chiamata, che devono far riferimento ancora a un regio decreto del 1929, e mancato avvio delle politiche attive». «Bisognerebbe dare più chiarezza all'articolo sulle collaborazioni», aggiunge. Zelioli attribuisce all'avvio delle politiche attive per il lavoro un valore di banco di prova della riforma , ma sottolinea anche che le aziende attendono innanzitutto «misure significative sul costo del lavoro».
Per Andrea Casale, della Fna (Federazione nazionale assicuratori), a Torino, a distanza di mesi, guardando i numeri «il Jobs act non ha risolto il problema della disoccupazione; s'è trattato in gran parte di trasformazioni di contratti. E tra tre anni – si domanda – finite le decontribuzioni, che cosa accadrà?». Casale se la prende anche con il superamento dell'articolo 18: «Sono stati massacrati i diritti dei lavoratori, avendo eliminato generalmente la norma della reintegra con il passaggio alla monetizzazione. È il motivo per cui oggi si corre il rischio di trovarsi per strada a 50 anni».
Rincara la dose Renato Ragozzino, avvocato a Milano: le misure di incentivazione alle assunzioni «hanno creato un effetto illusorio e non sono capaci di dare sostegno a un trend vero di incremento delle assunzioni». Quanto al superamento dell'articolo 18, l'avvocato milanese sottolinea che «sì, è stato un vantaggio per le imprese, ma oggi siamo di fronte a un significativo numero di impugnazioni per licenziamenti ritorsivi».
Per Daniele Randazzo, area legale Job Italia, i limiti del Jobs act derivano anche dalla «non buona messa in pratica delle norme: non in tutte le Regioni sono recepite allo stesso modo. C' è sempre qualcuno che invece di applicare le norme le interpreta». Punta poi il dito contro i ritardi, specie nell'avvio dell'Agenzia nazionale delle politiche attive: «C'è già un presidente, manca tutto il resto».
Si lamenta dei ritardi nell'avvio dell'Anpal anche Giorgio Di Mauro, della Cisl-funzione pubblica di Milano, ma si dice pure convinto che sarà un organismo « di difficile applicazione». Il sindacalista torna poi sulla questione dell'utilizzo delle assunzioni con tutele crescenti nel privato e nel pubblico: «Continuano ad esserci su questo punto – rileva – diverse opinioni all'interno del governo e tra gli esperti. E poi, nei fatti – conclude – c'è un gradino tra chi è soggetto alla vecchia normativa sulle tutele e chi usufruisce di quella nuova che sarà prima o poi terreno di numerosi contenziosi».
Laura Ciceri, giovane esponente di Confartigianato Bergamo, lamenta «scarso impatto sul mercato del lavoro e sull'occupazione per i giovani» da parte del Jobs act, e soprattutto «non piena convenienza delle decontribuzioni sulle assunzioni nelle piccole imprese». A questo riguardo l'esponente dell'associazione di categoria sottolinea che «la piccola impresa pare poco interessata alla riforma, mentre lo è la media e la grande, perché nelle condizioni attuali non riesce a creare produttività e reddito. La piccola impresa è disposta a utilizzare gli sgravi, ma ha bisogno di poter ricorrere ad agevolazioni più strutturali, come il cuneo fiscale o altro».
«Terminati gli incentivi chi assumerà volentieri nuovo personale?». Se lo domanda Luca Faotto, con studio legale a Milano. «Le decontribuzioni – sottolinea – sono in realtà una maschera di una problematica non superata. Le aziende hanno soprattutto bisogno di strumenti di flessibilità». L'avvocato milanese punta poi la sua attenzione «sull'enorme vuoto che è stato creato sul lavoro autonomo, che è rimasto confinato nell'ambito delle professioni».
Si sofferma sul ruolo dei centri per l'impiego Monica Bacis, dell'Agenzia formazione orientamento lavoro , a Milano: «Nei centri per l'impiego gli operatori sono oberati dalle pratiche amministrative, mentre sarebbe necessario investire risorse in personale aggiuntivo che possa farsi carico dei disoccupati con un lavoro più attento di profilazione dei singoli casi. Quando si parla dei centri per l'impiego – sottolinea – non si parla di realtà tutte uguali. In Lombardia siamo molto avanti. In ogni caso l'investimento va fatto sull'implementazione delle risorse. I centri non riescono nel loro obiettivo di trovare lavoro soprattutto perché non hanno rapporti con le aziende, non hanno cioè personale che possa andare a instaurare rapporti diretti con le imprese».
Una bella signora, sui cinquant'anni, di nome Cristina (non vuole rivelare il cognome), è venuta a Tuttolavoro, incuriosita dalla possibilità di capire meglio, dalle parole degli esperti, se ci saranno prospettive, anche per lei. Dopo vent'anni di esperienza in un'impresa multinazionale s'è ritrovata senza lavoro, per quanto con un bel gruzzolo in tasca, come buon'uscita. Ma ora? «È molto complicato ricollocarsi. Non c'è nulla in giro, soprattutto per i livelli manageriali».

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