Rapporti di lavoro

Lo sciopero non può più impedire l’apertura dei musei

di Armando Montemarano

Il 21 settembre è entrato in vigore il decreto legge 146/2015 che incrementa le misure volte ad assicurare la continuità dei servizi pubblici concernenti il nostro patrimonio storico e artistico già contenute nella legge 146/1990 sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali che disciplina, in particolare, il contemperamento di questo esercizio con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati.

Meglio tralasciare il tema della ricorrenza o meno, nella specie, del «caso straordinario di necessità e urgenza»: da troppi anni la lettura dell'articolo 77 della Costituzione si è allontanata dall'intenzione del costituente per sottolineare proprio ora la distanza che separa, sul punto, la costituzione materiale da quella formale.

L'articolo 1, comma 2, lettera a), della legge 146/1990 già includeva tra i servizi pubblici essenziali assoggettati alla regolamentazione dello sciopero quelli di protezione ambientale e di vigilanza sui beni culturali. Ad essi il decreto legge aggiunge i servizi che consentono l'apertura al pubblico dei musei e dei luoghi della cultura individuati dall'articolo 101 del Dlgs 42/2004 (il «codice Urbani»), vale a dire delle biblioteche, degli archivi, delle aree e parchi archeologici e dei complessi monumentali che, per appartenere a soggetti pubblici, sono destinati alla pubblica fruizione ed espletano un servizio pubblico. Il comma 4 dello stesso articolo 101 espressamente stabilisce che questi luoghi, se appartengono a privati, pur se aperti al pubblico espletano, invece, un «servizio privato di utilità sociale».

Il decreto-legge sancisce l'essenzialità, dunque, della continuità della fruizione del patrimonio culturale e regolamenta l'esercizio del diritto di sciopero nei relativi servizi, impegnando così i lavoratori che vi sono addetti ad effettuare le prestazioni indispensabili per soddisfare l'esigenza della collettività di disporne e ad esercitare il diritto costituzionale di astensione dal lavoro nel rispetto delle misure previste dalla stessa legge regolatrice, quale ad esempio l'obbligo di proclamazione con un preavviso minimo.

La nozione di «sciopero» può essere ricavata, oltre che dalla tradizione giuridica, proprio dalla legge 146/1990 che, all'articolo 2-bis, lo definisce «astensione collettiva dalle prestazioni, a fini di protesta o di rivendicazione di categoria».

È di pubblico dominio che il Dl 146 è stato adottato nell'immediatezza della chiusura per assemblea sindacale, il 18 settembre per tre ore, dell'accesso al Colosseo. Si conosceva in anticipo che si sarebbe svolta un'assemblea; l'Ansa ne aveva dato notizia il pomeriggio del 17, avvertendo del rischio che, non soltanto il Colosseo, ma anche altri luoghi della cultura sarebbero potuti restare chiusi al pubblico. L'assemblea aveva a oggetto, tra l'altro, la mancata corresponsione da mesi della parte del salario riguardante le turnazioni.

Vi è chi - ad esempio, il Soprintendente per il Colosseo - ha espresso perplessità sull'effettiva efficacia del decreto-legge, ritenendo che non potrebbe evitare che si ripeta quanto accaduto a Roma, dal momento che la chiusura è stata causata non dalla partecipazione a uno sciopero bensì a un'assemblea sindacale. L'articolo 20 dello statuto dei lavoratori, che disciplina queste assemblee, non porrebbe altri limiti al diritto dei lavoratori di riunirsi durante l'orario di lavoro se non quelli quantitativi (dieci ore annue) e procedurali (ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del lavoro e ordine di precedenza delle convocazioni).

Si è sempre sostenuto in giurisprudenza che quando l'astensione dal lavoro, pur formalmente qualificata quale assemblea, presenta le connotazioni di uno sciopero, soggiace ai limiti e alla disciplina previsti dalla legge 146/1990 (Pret. Roma 7 aprile 1997, in «Dir. Lav.», 1998, II, 411), ivi compreso l'obbligo del congruo preavviso (Trib. Napoli 6 luglio 2001, in «Rass. Avv. Stato», 2001, II, 245), risultando pertanto legittimo il conseguente comportamento sanzionatorio del datore di lavoro. Questa tesi è costantemente seguita dalla Commissione di garanzia, secondo cui l'assemblea indetta in orario di lavoro nei servizi pubblici essenziali esula dall'ambito di applicazione della legge regolatrice non alla sola condizione che venga convocata e si svolga secondo la previsione dell'articolo 20 dello statuto dei lavoratori, ma alla condizione ulteriore che la disciplina contrattuale di riferimento garantisca l'erogazione di servizi minimi (Delibere n. 315 del 16 maggio 2011 e n. 321 del 24 maggio 2010).

Il controllo sulla compatibilità tra assemblea e continuità dell'apertura al pubblico dei luoghi di cultura spetta alla dirigenza, tant'è che l'articolo 4 della legge 146/1990 sanziona non soltanto le organizzazioni sindacali proclamanti e i lavoratori che si astengono dal lavoro in violazione delle disposizioni o che, richiesti dell'effettuazione delle prestazioni indispensabili, non prestino la consueta attività, ma pure - direi prioritariamente, perché il loro ruolo attiene in modo preminente alla prevenzione delle infrazioni - i dirigenti responsabili che, in relazione alla natura del servizio, omettano di concordare, nei contratti collettivi o nei regolamenti, le prestazioni indispensabili che le amministrazioni sono tenute ad assicurare, le modalità e le procedure di erogazione dei servizi e le altre misure dirette a consentire la continuità della fruizione dei beni culturali.

Insomma: i turisti troveranno sempre aperti i luoghi della cultura se al senso di responsabilità dei sindacati e dei lavoratori, al di là delle ragioni che possono o no sostenere un'azione rivendicativa o di protesta, si unirà un'attenta vigilanza da parte dei dirigenti responsabili delle amministrazioni. In difetto, anche l'apparato sanzionatorio istituito dalla legge regolatrice integrata dal «decreto Colosseo» si rivelerà insufficiente.

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