Previdenza

Niente deroghe al minimale contributivo per le cooperative in difficoltà

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di Silvano Imbriaci

Un settore nel quale spesso la giurisprudenza si trova ad affrontare la questione della legittimità della deroga all'ordinario obbligo contributivo, è quello delle cooperative. Il principio del cosiddetto minimo (decreto legge 338/1989) impone di individuare l'obbligo contributivo alla stregua dell'importo della retribuzione che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale.

Tale principio si applica anche alle cooperative per quanto riguarda i compensi che spettano ai soci lavoratori, in tutto considerati come lavoratori dipendenti. La regola del minimale contributivo costituisce corollario del principio generale di autonomia del rapporto contributivo rispetto alle vicende della retribuzione, o meglio della retribuzione effettivamente corrisposta quando sia inferiore alla retribuzione virtuale di cui al Dl 389/1989.

Solitamente la questione, per quanto riguarda le cooperative, si pone quando sia deliberato dagli organi assembleari delle stesse uno stato di crisi con effetti diretti sulla retribuzione dei soci lavoratori che può scendere al di sotto dei minimi contrattuali fissati dal Ccnl di categoria (articolo 6 della legge 142/2001). La norma, in realtà, prevede una specifica procedura (di carattere eccezionale ) per far fronte a eventuali e comprovabili crisi aziendali, procedura che attribuisce all'assemblea la facoltà di deliberare un piano di crisi aziendale nel quale siano salvaguardati, per quanto possibile, i livelli occupazionali e sia altresì prevista la possibilità di riduzione temporanea del trattamento economico nonché forme di apporto anche economico da parte dei soci lavoratori alla soluzione della crisi, in relazione alla capacità e disponibilità e capacità finanziarie.

I limiti alla possibilità di assegnare potere derogatorio a tale delibera assembleare riguardano anche il fatto che non deve trattarsi di un mero accordo aziendale, dovendosi invece osservare condizioni e modalità stabilite in accordi e contratti collettivi tra le associazioni nazionali del movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.

La giurisprudenza ha aggiunto ulteriori "cautele", affermando ad esempio che la deliberazione, nell'ambito di un piano di crisi aziendale, di una riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi del socio lavoratore è condizionata alla necessaria temporaneità dello stato di crisi e, quindi, all'essenziale apposizione di un termine finale ad esso (Cassazione 19096/2018).

Da ultimo, tuttavia, la giurisprudenza della Cassazione ha assunto un atteggiamento ancora più restrittivo. Si è ritenuto infatti (Cassazione 15172/2019) che anche in presenza di un'ipotesi riconducibile a quella di cui all'articolo 6 della legge 142/2001, la contribuzione previdenziale non può subire alcuna deroga in pejus, dovendo comunque essere rapportata al minimale contributivo di cui al Dl 338/1989. Infatti la delibera assembleare, pur legittimata dall'articolo 6, non rientra nelle leggi regolamento o contratti collettivi che a norma dell'articolo 1 del Dl 338/1989 individuano la retribuzione minima da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali. Del resto l'articolo 6, a stretto rigore, non prevede alcunché in relazione all'obbligazione contributiva. La forza del principio dell'autonoma del rapporto contributivo resiste a qualsiasi esigenza di superamento dello stato di crisi aziendale anche attraverso forme di riduzione del trattamento economico riservato ai soci lavoratori: la posizione previdenziale rimane integra.

A dire il vero, una interpretazione ministeriale spesso citata in argomento (il parere 48/2009) sembra affermare il contrario, nella parte in cui prospetta la deroga al minimale contributivo in questa fattispecie. Il parere in questione si basava sull'articolo 4 della legge 142/2001, nella parte in cui si prevede che, ai fini della contribuzione, debba farsi riferimento alle normative previste per le diverse tipologie di rapporti di lavoro adottabili dal regolamento della cooperativa, nei limiti di quanto previsto dall'articolo 6.

Secondo l'interpretazione più restrittiva della Cassazione, tale inciso non equivale a una deroga al minimale, intendendo invece ribadire la necessità che, in caso di opzione per rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, occorre seguirne anche il relativo regime previdenziale, sempre che l'adozione di questi rapporti sia effettuata alla stregua delle modalità previste nell’articolo 6.

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