Contrattazione

Contratto a chiamata per giovani e over 55

di Ornella Lacqua e Alessandro Rota Porta

In vista del periodo estivo sono frequenti le esigenze di prestazioni “mordi e fuggi”: laddove l’entità della stesse non sia predeterminabile e quindi richieda attività non programmabili, di carattere saltuario e/o discontinuo, la fattispecie contrattuale utilizzabile è quella del contratto intermittente, disciplinato dall’articolo 13, del Dlgs 81/2015. Occorre però verificare prima se l’attività o il soggetto interessato rientrano nel campo di applicazione: vi sono, infatti, specifiche ipotesi soggettive e oggettive che definiscono il perimetro di utilizzo del contratto a chiamata.

Con riferimento alle prime, sono individuate in capo a due categorie di soggetti: i giovani di età inferiore a 24 anni, purché la prestazione si esaurisca entro il 25° anno di età; i soggetti di età superiore a 55 anni, anche pensionati.

Rimangono poi, in alternativa, le ipotesi oggettive, per le prestazioni di carattere discontinuo o intermittente individuate dai contratti collettivi ovvero ricomprese tra le attività elencate nella tabella approvata con il regio decreto 2657/1923. Peraltro, in assenza di disciplina contrattuale nazionale, va ricordato come anche gli accordi collettivi di secondo livello possano regolamentare il job on call.

Al ricorso del contratto di lavoro a chiamata si accompagna l’obbligo di comunicare preventivamente la durata della prestazione lavorativa (articolo 15, comma 3, del Dlgs 81/2015).

Sussiste, inoltre un tetto di utilizzo del lavoro intermittente, fissato - per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro - in 400 giornate di effettivo lavoro “nell’arco di tre anni solari” (tranne che per turismo, pubblici esercizi e spettacolo). Infine, si ricorda che i lavoratori a chiamata, al pari di tutti gli altri, sono soggetti alla sorveglianza sanitaria e a tutte le tutele previste in materia di sicurezza sul lavoro.

Tempo parziale

Rimanendo nell’alveo del rapporto di lavoro subordinato, quando è possibile predefinire l’articolazione dell’orario di lavoro, un altro strumento che permette di gestire attività “ridotte” è quello del rapporto a tempo parziale: in questa ipotesi, secondo le previsioni dell’articolo 5, del Dlgs 81/2015, va indicata puntualmente la durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno.

Il datore di lavoro ha poi facoltà di richiedere, entro i limiti dell’orario normale di lavoro, lo svolgimento di prestazioni supplementari (secondo le disposizioni dei contratti collettivi) così come di pattuire clausole elastiche. Ma, in realtà, la fattispecie contrattuale che sarebbe più idonea a soddisfare le esigenze lavorative in parola, è quella del contratto di prestazione occasionale: chi fosse interessato deve però fare i conti con il Dl 50/2017, che ha regolato la materia in maniera più stringente rispetto alla disciplina del Dlgs 81/2015.

Questo istituto è stato previsto per le prestazioni di tipo occasionale, ossia saltuarie e di ridotta entità.

Lavoro occasionale

La normativa esclude i datori di lavoro che operano in determinati settori (edili e affini, lapidei, miniere e cave) e ambiti (appalti d’opera e di servizi), così come tutti quelli che hanno alle proprie dipendenze più di 5 lavoratori a tempo indeterminato (8 nel caso delle aziende alberghiere e delle strutture ricettive che operano nel settore del turismo) oppure che abbiano in corso o abbiano avuto nei 6 mesi precedenti un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa con il prestatore.

L’utilizzatore che intende avvalersi di prestazioni occasionali può acquisire attività lavorative che danno luogo, nel corso dell’anno civile, a compensi netti non superiori a: 5.000 euro per ciascun prestatore, per la totalità degli utilizzatori; 5.000 euro per ciascun utilizzatore, per la totalità dei prestatori; 2.500 euro per prestazioni rese da ogni prestatore in favore dello stesso utilizzatore. Particolari limiti sono stati previsti nel caso in cui il prestatore sia studente, pensionato o percettore di prestazioni integrative del salario.

Oltre ai limiti economici, l’utilizzatore deve rispettare anche un limite di durata: la prestazione, infatti, non può superare le 280 ore.

La misura del compenso è fissata dalle parti, ma non può essere inferiore al livello minimo individuato dalla legge ossia 9 euro netti per ogni ora di prestazione (con minimo giornaliero non inferiore a 36 euro).

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