Lavoro in Paesi extra-Ue: non serve il nulla osta ministeriale
Nell'ambito degli interventi di semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico dei datori di lavoro, l’articolo 18 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151 ha disposto l'abrogazione dell'autorizzazione al lavoro all'estero di cui al decreto-legge 31 luglio 1987, n. 317, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398.
Per le multinazionali, ma anche per le piccole-medie aziende sempre più coinvolte nei processi di internazionalizzazione, la nuova disposizione garantisce recuperi di competitività, eliminando un ostacolo burocratico che, al fine di tutelare il lavoratore, tendeva a ritardare notevolmente l'invio delle risorse laddove necessario, con un conseguente aggravio di costi e perdita di efficienza.
In estrema sintesi, l'autorizzazione rilasciata dal Ministero del lavoro era stata prevista con l'obiettivo di verificare le condizioni di invio all'estero del lavoratore, sia con riferimento alla legislazione applicabile al rapporto di lavoro, sia alla sua sicurezza, soprattutto se inviato in zone con situazioni politiche, sociali e sanitarie a rischio. L'autorizzazione non era richiesta per le trasferte all'estero, in caso di mobilità intracomunitaria – in virtù del principio di non discriminazione – per gli invii nei Paesi SEE (Spazio Economico Europeo; Islanda, Norvegia, Liechtenstein) ed in Svizzera, mentre lo era per la quasi totalità dei Paesi extra-Ue, indipendentemente dalla circostanza che il lavoratore fosse inviato in Paesi che già riconoscevano ampie tutele ai lavoratori (come gli Stati del nord America).
Nonostante si sia nel tempo cercato di accelerare i tempi di rilascio, anche mediante l'adozione di procedure telematiche, diversi erano i casi in cui i datori di lavoro erano costretti ad assegnare in tempi brevi propri dipendenti all'estero senza aver ottenuto le necessarie autorizzazioni, a rischio di subire le sanzioni previste, ovvero un'ammenda da 258,30 a 1.033,00 Euro e, nei casi più gravi, l'arresto da 3 mesi ad un anno.
Mediante il citato art. 18 il Legislatore è intervenuto per “semplificare” gli adempimenti del datore di lavoro in occasione di un'assegnazione in Paesi extra-Ue, offrendo così maggior competitività alle imprese e, salvaguardando, al contempo, le condizioni di tutela dei lavoratori, dal momento che l'accordo di assegnazione all'estero deve comunque prevedere:
a) un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative per la categoria di appartenenza del lavoratore, e, distintamente, l'entità delle prestazioni in denaro o in natura connesse con lo svolgimento all'estero del rapporto di lavoro;
b) la possibilità per i lavoratori di ottenere il trasferimento in Italia della quota di valuta trasferibile delle retribuzioni corrisposte all'estero, fermo restando il rispetto delle norme valutarie italiane e del Paese d'impiego;
c) un'assicurazione per ogni viaggio di andata nel luogo di destinazione e di rientro dal luogo stesso, per i casi di morte o di invalidità permanente;
d) il tipo di sistemazione logistica;
e) idonee misure in materia di sicurezza.