«Situation room» per l’occupazione giovanile
Nell’interessante articolo di Carlo Carboni (Il Sole dell’11 aprile), la disoccupazione giovanile italiana viene definita una “ferita strutturale” ammortizzata dalle famiglie.
Ma, prosegue Carboni, la disoccupazione giovanile italiana non è messa in agenda come un’emergenza dalla politica che «vola alto».
Le cause di questa situazione sono molteplici e non c’è una singola arma strategica per combatterla. Certamente bisogna partire da quelle che Carboni chiama le «terre di mezzo», ossia le esperienze di integrazione fra scuola e lavoro nel processo di formazione dei giovani.
Le aree di azione in queste «terre di mezzo» sono principalmente tre: la formazione tecnica e in particolare l’Istruzione tecnica superiore (Its) che corrisponde a quelle che in Germania si chiamano le Fachhochschule; i programmi di alternanza scuola-lavoro varati dalla legge sulla Buona Scuola; le lauree professionalizzanti.
La distanza fra il sistema educativo e le imprese si è in questi anni fortunatamente attenuata: questo è un treno già in corsa, si tratta ora di accelerarlo per ottenere risultati quantitativi e qualitativi di ordini di grandezza adeguati alla magnitudo del problema della disoccupazione giovanile.
L’Istruzione tecnico superiore in Italia è il canale formativo post diploma parallelo all’Università, che registra un tasso di occupazione medio del 95% per i giovani dopo un anno dal diploma. Il Decreto della presidenza del Consiglio dei ministri del 2008 ha rilanciato questo canale “dormiente” dal 1999. Il Miur e le Regioni, insieme a molte imprese, stanno di anno in anno attivando nuove esperienze importanti. Vi sono circa 90 Fondazioni che attivano ciascuno uno o più Its in varie regioni italiane e su varie aree merceologiche. In Germania però le Fachhochschule hanno 880mila studenti mentre in Italia gli Its- Istituti tecnici superiori- hanno meno di 9mila studenti.
Ora cosa è possibile fare per accelerare la diffusione e le dimensioni di queste esperienze (producendo non 40 studenti a corso ma 4mila), per costruire new skills for new jobs (superando l’esistente skill gap di almeno 150mila posti di lavoro in Italia ma soprattutto progettando nuovi mestieri e professioni vivificati da competenze evolutive) e per estenderle a tutte le aree del Paese (in particolare al Sud)?
Le variabili chiave ci sembrano tre: a) la rimozione di vincoli normativi; b) la più forte partecipazione delle imprese; c) gli investimenti e gli incentivi.
a) Le norme esistenti hanno vincolato gli Its alla regionalità, alla monospecializzazione, alla rigidità normativa sulle specializzazioni e i titoli. Soprattutto le hanno vincolate a finanziamenti centrati solo su progetti e su premi ministeriali ex post. Forse questi vincoli possono essere rimossi. Sarebbe inoltre opportuno promuovere una maggiore visibilità dei diplomi e dell’utilizzazione dei crediti, per rendere, come in Europa, egualmente appetibili ai giovani e alle famiglie i due canali post diploma e per rendere facile la transizione dall’Its all’Università, per chi desideri proseguire gli studi.
b) Le imprese che partecipano alle Fondazioni sono ancora poche, per lo più grandi o medie con una forte tradizione di istruzione tecnica di qualità e per lo più orientate a costruire scuole immediatamente utili ai loro fabbisogni di manodopera qualificata. Non esistono al momento forti incentivi economici, normativi, di immagine che spingano un numero molto più elevato di imprese a partecipare.
c) La ricerca e la sperimentazione sui nuovi lavori e le nuove competenze richiedono investimenti, oggi frazionati in mille rivoli.
Gli incentivi alle imprese a farsi parte attiva nello sviluppo dei canali formativi potrebbero essere rafforzati, ad esempio sotto forma di sgravi fiscali per le imprese che assumono i diplomati: su questo il presidente Boccia è tornato più volte.
I programmi di alternanza scuola-lavoro lanciati dalla legge sulla Buona Scuola e fortemente promossi dal Miur, prevedono l’obbligatorietà di periodi di permanenza in organizzazioni pubbliche e private per un numero altissimo di studenti non solo degli Istituti tecnici e professionali ma anche dei licei. Lo sforzo è stato immenso: l’87,4% delle scuole (statali e paritarie) ha fatto l’Alternanza negli anni scolastici 2015-16 contro il 42% degli anni 2014-2015. I problemi incontrati sono naturalmente moltissimi, ma questa è un’area in cui le imprese devono trovare ragioni e forme (e forse incentivi) per partecipare in modo più fruttuoso evitando l’effetto “study tour” e invece attivando forme di lavoro utile anche se semplificato.
La struttura e i numeri delle Università italiane sono quantitativamente in linea con altri Paesi europei. 95 università tra pubbliche e private coinvolgono oltre 1,6 milioni di studenti. È stato avanzato recentemente un progetto di costituire lauree professionalizzanti in tutte le facoltà, ma è stato prontamente sospeso per un anno. Il problema è quello di evitare la cannibalizzazione reciproca fra Its e lauree professionalizzanti, pericolo del tutto superato nei sistemi di Francia, Germania, Svizzera. Occorre certamente sviluppare con procedura di urgenza un quadro di sistema che renda compatibili, sinergici, permeabili i due sistemi.
Fondazione Altagamma da circa un anno e mezzo ha approfondito questi temi nell’intento di realizzare un Polo tecnico professionale pilota chiamata Scuola politecnica del saper fare Italiano.
Abbiamo dunque toccato con mano - dopo aver attivato dibattiti con Assolombarda e il Politecnico di Milano, stipulato con il Miur una convenzione e con la Regione Lombardia una intesa di ampio respiro.
Ora riteniamo, sulla base delle approfondite discussioni aperte con istituzioni e aziende, che sarebbe opportuno costituire una “situation room” che affronti se non tutti i temi della disoccupazione giovanile, una parte di essi (i temi dell’Its, dell’alternanza scuola/lavoro, delle lauree professionalizzanti).
Altagamma sarebbe lieta di contribuire mettendo a disposizione le esperienze delle imprese che aderiscono alla Fondazione Altagamma, molte di queste impegnate in Corporate Academy di rilievo.
Il tema della formazione è cruciale per il dramma occupazione ma lo è anche per lo sviluppo del sistema produttivo italiano.
Il mondo del lavoro di qui al 2025 cambierà profondamente: 45-50% delle occupazioni di allora, oggi non esistono ancora. Quelle che oggi esistono saranno profondamente modificate. Le organizzazioni e i lavoratori, soprattutto giovani dovranno acquisire competenze, flessibilità, innovatività che le organizzazioni e i lavoratori della seconda rivoluzione industriale non avevano. Un programma nazionale coordinato potrebbe anche fare emergere i best cases, rappresentare il futuro tecnologico-organizzativo, far diventare la progettazione di nuove organizzazioni innovative e di mestieri e occupazioni soprattutto nelle piccole e medie imprese un impegno nazionale.
Tutto ciò può fare emergere una nuova idea di lavoro che potenzi il valore e la crescita umana e professionale dei giovani e aumenti l’innovazione e la competività delle imprese.
Questo era già avvenuto nel dopoguerra in Germania, Scandinavia, Giappone. Questo sta avvenendo in Germania con i programmi Industry 4.0, in Danimarca, in California, in Corea, a Singapore. Questo può avvenire in Italia.
Federico Butera è professore emerito di Scienze dell'organizzazione, Università di Milano Bicocca
Andrea Illy è presidente di Illycaffè e presidente di Fondazione Altagamma