Contratti a termine, 521 mila dipendenti alla prova rinnovo
Giovane, diplomato, residente in una regione del Nord. È questo l’identikit che si ripete più spesso tra i lavoratori a tempo determinato in scadenza di contratto da qui a fine anno.
Si tratta di 521mila dipendenti, il 18% su un totale di 2,9 milioni, stimati dal Sole 24 Ore del Lunedì su microdati Istat. Una platea che negli ultimi mesi ha visto il susseguirsi di un continuo cambio di regole, dopo l’entrata in vigore del decreto sul lavoro (Dl 87/2018), il 14 luglio scorso, e delle successive correzioni introdotte dalla legge di conversione (legge 96/2018, in vigore dal 12 agosto), che ha previsto un periodo transitorio per i rapporti in corso. Periodo transitorio che scade tra due giorni, dopodomani, mercoledì 31 ottobre.
Ai datori di lavoro resta, dunque, pochissimo tempo per decidere se utilizzare o meno la “ciambella di salvataggio” lanciata dal legislatore, rappresentata dalla possibilità di mantenere in vita le vecchie regole.Una finestra aperta solo per i rapporti a tempo determinato che il 14 luglio scorso risultavano in corso, essendo già stati siglati per la prima volta da datore e lavoratore.
Rientrano in questa “finestra” anche i contratti a termine che sono stati stipulati prima del 14 luglio, che erano già scaduti a quella data e sono oggetto di rinnovo o proroga tra le parti, avvenuti prima del 31 ottobre.
Le nuove regole
Dal 1° novembre, per prorogare o rinnovare un contratto a termine già avviato tra le parti, bisognerà seguire in tutto e per tutto le nuove regole stabilite dal Dl 87/2018, cioè:
• durata massima del primo contratto a termine senza causale di 12 mesi;
• oltre i primi 12 mesi, proroga con causale: il datore deve cioè precisare che la prosecuzione del rapporto avviene a tempo determinato per esigenze temporanee e oggettive, estranee all’attività ordinaria (come ad esempio una produzione nuova, mai sperimentata prima), oppure per sostituire altri lavoratori, oppure ancora per esigenze legate a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria (ad esempio la necessità di vendere tutto lo stock di merce in magazzino per poi ristrutturare il capannone);
• le proroghe possono essere al massimo quattro nell’arco di 24 mesi (e non più cinque nell’arco di 36 mesi);
• la durata massima dei rapporti a termine fra lo stesso datore e lo stesso lavoratore è di 24 mesi, salvo previsioni diverse del contratto collettivo applicato dall’azienda.
Restano fuori dalle restrizioni sui limiti di durata massima e sulla disciplina delle proroghe e dei rinnovi i contratti stagionali.
A chi si applica il periodo transitorio
Il 14 luglio 2018 è dunque la data chiave per capire se al contratto a termine si applica il regime transitorio, oppure no. Facciamo l’esempio del rinnovo di un contratto scaduto il 1° ottobre dopo 15 mesi: con un tetto complessivo di 36 mesi, potrà avere una durata massima di altri 21 mesi, senza necessità della causale, solo se siglato entro dopodomani, mercoledì 31 ottobre.
Se, invece, datore di lavoro e dipendente decidono di rinnovare dal 1° novembre in poi, si applicano le nuove regole, per cui, con il nuovo tetto di 24 mesi, sarà indispensabile indicare la causale e la durata massima sarà di altri 9 mesi.
I nuovi contratti
Non esiste, invece, regime transitorio se il primo contratto tra le parti è stato stipulato dal 14 luglio in poi: in questo caso le nuove regole sono scattate subito.
Quindi, un accordo siglato per la prima volta il 15 luglio può essere prorogato alla scadenza solo fino a un massimo di 4 volte, e richiederà la causale se saranno superati i 12 mesi; allo stesso modo, in caso di rinnovo, dovrà sempre essere accompagnato dalla causale.
Va precisato che le regole transitorie riguardano soltanto durata massima, proroghe e rinnovi, mentre non si applicano alla maggiorazione contributiva dello 0,5%, che dal 14 luglio vale per tutti i rinnovi di un contratto a termine.
La mappa dei contratti in scadenza sino a fine anno
La mappa dei contratti in scadenza sino a fine anno