Previdenza

«Quota 100», ipotesi penalità dell’1,5% per anno di anticipo

di Davide Colombo e Marco Rogari

Spuntano alcuni precisi paletti per provare ad alleggerire il peso di “quota 100” sui conti pubblici. La dote massima disponibile per gli interventi previdenziali sarebbe scesa dagli oltre 8 miliardi stimati finora dalla Lega per il primo anno di applicazione a meno di 6 miliardi. Un livello che potrebbe essere rispettato limitando il più possibile la platea dei beneficiari delle nuove anzianità, che scatterebbero da gennaio con due vincoli: 62 anni minimi di età e non meno di 36 anni di contributi. Se, per esempio, un lavoratore con 65 anni volesse ritirarsi prima, non potrebbe farlo con soli 35 anni di versamenti ma dovrebbe averne comunque 36. L’altro vincolo per tenere la spesa scatterebbe con una penalità dell’1,5% l’anno per ogni anno di anticipo sui 67 anni, la vecchiaia prevista dal 2019.

I tecnici leghisti vicini al dossier ieri parlavano di un maggior flusso di pensionamenti aggiuntivi di 300-350mila l’anno confermando anche l’ipotesi di un utilizzo incentivato di “quota 100” per il ritiro anticipato di lavoratori in esubero in situazioni di crisi o riorganizzazioni aziendali. Un canale, quest’ultimo, che potrebbe prevedere l’ipotesi che le aziende, utilizzando il fondo di solidarietà bilaterale, integrino volontariamente una parte o tutta la quota di penalizzazione che varrebbe sui primi 5 anni in caso di uscita a 62 anni.

Non è stata ancora sciolta, invece, la questione del requisito secco di 41 anni (o 41 anni e 6 mesi) per l’anticipo senza vincoli di età. Aprire anche questa finestra, insieme con “quota 100” è troppo oneroso, per cui si ipotizza per il momento di congelare il requisito attuale (42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 e 10 mesi per le donne) per evitare l’aumento di 5 mesi previsto a gennaio in virtù dell’adeguamento alla speranza di vita. Il meccanismo di adeguamento automatico alla speranza di vita, peraltro, varrebbe anche per “quota 100” probabilmente con l’attuale cadenza biennale.

Tra le questioni aperte resta poi quella della cosiddetta “pace contributiva”. I tecnici vicini al Carroccio spiegano che si vorrebbe facilitare i lavoratori a coprire i versamenti mancanti dopo il 1996 senza necessariamente ricorrere a sconti ma a una semplificazione della normativa attuale sulla contribuzione volontaria, e lo stesso ragionamento varrebbe per i riscatti della laurea.

In attesa di chiarimenti, ieri il presidente dell’Inps, Tito Boeri, è uscito allo scoperto con dichiarazioni di fuoco contro la “pace contributiva”: «Rischia di vanificare i risultati raggiunti finora e diffusi oggi (ieri, ndr) che sono invece incoraggianti - ha detto - darebbe la possibilità a chi non ha versato i contributi di sanare la situazione in modo agevolato. Indebolirebbe la campagna di contrasto all’evasione e farebbe aumentare le prestazioni perché si matura il diritto ad andare in pensione prima e con importi più elevati. Aumenta la spesa e indebolisce le entrate». Ieri Inps ha reso noto che nei primi sette mesi dell’anno le entrate (riscossioni della produzione, esclusi i trasferimenti dallo Stato ed altri enti) ammontano a 119.351 milioni di euro, in deciso aumento (+4,07%) rispetto allo stesso periodo del 2017 (114.686 milioni di euro incassati).

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