Previdenza

Al tavolo pensioni «quota 42» e bonus per chi resta al lavoro

di Davide Colombo e Marco Rogari

Pensioni d’oro, ma non solo. Il cantiere pensioni è in piena attività in vista dell’appuntamento autunnale della legge di bilancio. Anche se nella maggioranza continuano ad esserci diverse scuole di pensiero sul superamento della legge Fornero. Non a caso si starebbe valutando la possibilità di attivare un coordinamento formale tra i ministeri del Lavoro, dell’Economia, Palazzo Chigi e i tecnici “d’area” sui temi delle pensioni e del lavoro. La decisione dovrebbe essere presa nei prossimi giorni dopo che il ministro, e vicepremier, Luigi Di Maio avrà formalizzato la sua proposta per far scattare la stretta sulla parte non legata a contribuzione effettivamente versata degli assegni con importi superiori ai 4mila euro mensili. Il coordinamento dovrebbe servire per scremare le varie proposte sul tavolo. Come quelle sul ripristino del superbonus per chi decide di rimanere al lavoro fino a un massimo di tre anni pur avendo maturato i requisiti per l’uscita o sull’adozione di quota 42 per le uscite anticipate, anziché quota 41, anche al fine di risparmiare risorse per rendere meno rigidi i paletti anagrafici e contributivi per accedere a quota 100.

La priorità per il momento resta il giro di vite sulle pensioni d’oro che si dovrebbe tradurre in un disegno di legge da sottoporre al Parlamento. Ma il superamento della legge Fornero resta il vero obiettivo del governo gialloverde. E Di Maio, così come Matteo Salvini, vorrebbe già dare un primo segnale con la legge di bilancio, nonostante siano in molti a sostenere che l’operazione possa scattare solo nel 2020 visti anche i costi non proprio trascurabili. Ragioneria generale dello Stato, Corte dei conti, Upb e Inps hanno già lasciato intendere a più riprese (anche nei giorni scorsi) che lo stop della legge Fornero sarebbe eccessivamente oneroso per le casse dello Stato e metterebbe a repentaglio la sostenibilità del sistema previdenziale. La scorsa settimana l’istituto guidato da Tito Boeri ha stimato che, con una simulazione su base decennale, i costi dell’immediato decollo di quota 100, a seconda della combinazione dei vari sistemi di calcolo, oscillerebbero tra i 4 e i 14 miliardi annui con una crescita degli assegni che potrebbe superare quota 1,1 milioni l’anno. Stime che hanno fatto salire la tensione tra il Governo e Boeri, poi culminata con il duro botta e riposta sulla relazione tecnica del decreto dignità.

Il problema risorse comunque esiste. Anche per questo motivo non è escluso che l’intervento possa scattare in toto nel 2020 e a quel punto salirebbero le possibilità che il ripristino dell’uscita di anzianità per tutti possa essere garantito con quota 42 (nel 2019 a legislazione vigente il pensionamento sarà possibile con 43 anni e 3 mesi per gli uomini e 42 anni e 3 mesi per le donne) invece che con quota 41 e 6 mesi, come prevede la proposta elaborata per la Lega dall’ex sottosegretario al Lavoro, Alberto Brambilla (attualmente l’uscita con 41 anni di contributi è garantita ai “precoci”). Una soluzione non sgradita a diversi ambienti della maggioranza (anche se ufficialmente quota 41 resta “intoccabile”) per i quali sarebbe preferibile rendere meno rigida l’uscita con quota 100, che sempre secondo l’ipotesi Lega (non unanimemente condivisa) dovrebbe essere realizzata con non meno di 64 anni di età e 36 anni di contribuzione. Per Brambilla il sistema delle quote dovrebbe essere accompagnato, anche come deterrente alle uscite anticipate, dal ripristino del superbonus targato Maroni: accredito direttamente ed esentasse in busta paga dei contributi previdenziali (33% per i lavoratori dipendenti) per chi, pur avendo maturato i requisiti per il pensionamento, decide di rinviare per un massimo di 3 anni l’uscita.

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