Contrattazione

Nuovo slancio a welfare e secondo livello

di Claudio Tucci

Dagli sgravi contributivi alle imprese che prevedono, nei contratti aziendali, istituti di conciliazione tra vita professionale e vita privata alla nuova procedura online, in vigore dal 12 marzo 2016, per comunicare dimissioni o risoluzioni consensuali (e contrastare, così, i recessi “in bianco”, che penalizzano alcune categorie di lavoratori, specie le donne). Dallo smart working, vale a dire la possibilità, ora riconosciuta dalla legge, di poter lavorare in modo flessibile rispetto a orario e luogo di impiego, al voucher baby sitting, 600 euro al mese per sei mesi, appannaggio di lavoratrici dipendenti o parasubordinate (da usufruire in alternativa al congedo facoltativo).

Certo, le risorse sono poche; e gli interventi sparsi in diverse fonti normative; ma dal Jobs act in avanti, gli ultimi due governi, Renzi prima, e Gentiloni adesso, stanno cercando di dare nuovo slancio al “welfare” su misura per le famiglie. Merito anche di una contrattazione collettiva che sta piano piano diventando più attenta al tema: si pensi, per esempio, all’innovativo contratto dei metalmeccanici, che ha messo a disposizione delle “tute blu” un’ampia offerta di beni e servizi di welfare (dal valore di 100 euro quest’anno, 150 da giugno 2018, 200 da giugno 2019). Ma una certa vitalità inizia a riscontrarsi pure nel “secondo livello” negoziale: recenti contratti aziendali, di grandi e piccole aziende, consentono di convertire il premio di produttività in misure di welfare (rette scolastiche, baby sitter, rate del mutuo, solo per citarne alcune), oggi incentivate dal legislatore (e quindi molto più conveniente per datori e lavoratori). E proprio in questa direzione muove, anche, il decreto interministeriale (Lavoro-Mef) firmato lo scorso 12 settembre, che riconosce sgravi contributivi ad hoc ai datori privati che abbiano previsto, nei contratti collettivi aziendali, istituti di conciliazione. Sul piatto vengono messi circa 110 milioni di euro per il biennio 2017 e 2018. «Le misure di conciliazione devono interessare un numero di lavoratori pari almeno al 70% della media dei dipendenti occupati nell’anno civile precedente la domanda - ha spiegato Maria Rosa Gheido, consulente del lavoro, ed esperta della sezione Norme e Tributi di questo giornale - e devono essere individuate nell’ambito della genitorialità, flessibilità organizzativa e welfare aziendale».

A segnare un primo cambio di passo sulle normative lavoristiche a tutela della famiglia è stata la riforma Renzi-Poletti. Con il Jobs act il congedo parentale si è allargato: fino a 8 anni del figlio è retribuito al 30% (da 0 a 6, sempre; da 6 a 8 anni in casi particolari) e fino a 12 anni (non retribuito). Si può anche frazionare a ore e il preavviso è sceso da 15 a 5 giorni. Con il ddl Del Conte, poi, che ha introdotto lo statuto del lavoro autonomo, l’indennità di maternità è stata “estesa” alle lavoratrici della gestione separata Inps anche se non abbandonano il lavoro. Novità pure per i padri: la durata del congedo obbligatorio è stata aumentata da uno a due giorni quest’anno, quattro giorni nel 2018.

La scorsa manovra (per il 2017) ha invece puntellato una serie di “incentivi economici” mirati per favorire i nuclei, soprattutto quelli più giovani: dal 1° gennaio, le mamme in attesa di un figlio, già dal compimento del settimo mese di gravidanza, o all’adozione di un minore, possono chiedere un “premio” di 800 euro, indipendentemente dal livello di reddito. C’è poi il bonus “asilo nido”, che spetta ai genitori, con figli nati o adottati dal 1° gennaio 2016, al di sotto dei tre anni, e che frequentano l’asilo, nella misura massima di mille euro annui, parametrato su 11 mensilità per un importo di euro 91,91 euro. Il contributo è riconosciuto anche nel caso in cui il bambino è impossibilitato a frequentare l’asilo nido a causa di gravi patologie croniche. Il “bonus bebè” inoltre (un assegno mensile per i figli nati, adottati o in affido preadottivo tra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre di quest’anno) è legato a un Isee non superiore a 25mila euro. L’assegno è annuale e viene corrisposto ogni mese fino al terzo anno di vita del bambino o al terzo anno dall’ingresso in famiglia (in caso di figlio adottato).

Le ultime due misure, in ordine temporale, di welfare “familiare” sono l’assegno di incollocabilità e il reddito di inclusione (Rei). Il primo arriva dall’Inail, e si tratta di una somma (256,39 euro, dal 1° luglio) erogata alle persone colpite da una menomazione o con capacità lavorativa ridotta (da infortunio o malattia professionale non inferiore al 34%). Il secondo, il Rei, che decollerà a fine anno, è il nuovo sostegno economico ai nuclei in difficoltà, accompagnato da servizi per l’inclusione sociale e lavorativa. Ai beneficiari è infatti richiesto di attivarsi sulla base di un progetto personalizzato condiviso con i servizi territoriali. L’obiettivo è accompagnarli verso l’autonomia.

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