Rapporti di lavoro

Contro crisi e clienti forti serve l’equo compenso

di Massimo Miani

Il significativo contributo delle professioni al sistema economico impone una riflessione adeguata sul loro ruolo e sulla loro collocazione (rectius: ricollocazione) sul mercato.

Da sempre alle professioni è unanimemente riconosciuto un ruolo di trait d’union tra le istituzioni e i cittadini. Nei confronti di questi ultimi, l’appartenenza del professionista a un Ordine professionale costituisce una garanzia fondamentale di competenza, posto che l’iscrizione a un albo presuppone il superamento di un esame di Stato che avviene al termine di un percorso di studi e di tirocinio, così come previsto dalla legge. Dall’iscrizione in un albo professionale discendono poi una serie di obblighi sul cui rispetto gli Ordini sono chiamati a vigilare costantemente. Tale attività di vigilanza riverbera i propri effetti su più fronti, traducendosi in primo luogo in una verifica del mantenimento dei requisiti di iscrizione: dall’assenza di situazioni di incompatibilità alla condotta irreprensibile, dal mantenimento delle conoscenze attraverso un rigoroso obbligo formativo al rispetto dei presidi a tutela del cliente, garantito dall’obbligo della polizza assicurativa professionale, fino alle regole di condotta che impongono il rispetto dell’ordinamento, delle leggi e del codice deontologico. L’inosservanza degli obblighi di legge e deontologici espone l’iscritto a un albo a severe sanzioni disciplinari che possono limitarne, se non inibirne, la possibilità di esercizio dell’attività professionale.

In tale contesto si innesta la nuova legge sul lavoro autonomo, che delega al Governo l’individuazione di una serie di atti della pubblica amministrazione che per ragioni di semplificazione e razionalizzazione potrebbero essere rimessi ai professionisti organizzati in Ordini o Collegi, in ragione del loro carattere di terzietà. L’attività dei professionisti diventa, infatti, uno strumento fondamentale per semplificare l’attività delle amministrazioni pubbliche e ridurne i tempi di produzione. Per effetto di tale previsione, ancorché le imprese restino evidentemente l’interlocutore privilegiato dei professionisti, il filone delle “funzioni sussidiarie” è destinato a crescere in maniera esponenziale.

Pienamente consapevole dei risvolti di natura pubblicistica delle funzioni a esse demandate, nel corso del tempo il legislatore si è rivolto sempre più frequentemente alle professioni regolamentate per l’affidamento di compiti particolarmente delicati sotto il profilo della tutela dell’interesse pubblico.

Interesse pubblico all’insegna del quale è improntato anche l’assetto delle norme deontologiche che regolano la categoria professionale dei commercialisti. Questi ultimi, grazie alle competenze trasversali riconosciutegli ex lege in ambito economico e giuridico, hanno assunto negli anni un ruolo cruciale nel mondo delle imprese e, al contempo, sono divenuti un costante punto di riferimento dello Stato, che sempre più spesso affida loro funzioni di rilievo pubblicistico.

Ben venga, dunque, la sfida lanciata dal Jobs Act: le professioni regolamentate sono pronte a svolgere anche nuove e ulteriori attività in supporto alla pubblica amministrazione, però il legislatore non può e non deve disconoscerne il valore. Il riferimento è alla mancata inclusione nel Jobs Act della norma sull’equo compenso, per effetto della quale il nuovo provvedimento non raggiunge uno degli obiettivi principali: quello di restituire dignità ai professionisti attraverso il riconoscimento del loro lavoro. Va detto, peraltro, che l’introduzione del divieto di abuso di dipendenza economica ha aperto uno spiraglio importante al riconoscimento dei diritti dei lavoratori autonomi, in un contesto generale di crisi in cui l’abrogazione delle tariffe professionali non solo non ha avuto l’effetto di ampliare il mercato dei servizi professionali, ma anzi ha lasciato senza alcuna protezione, spesso nei confronti di clienti forti, una enorme platea di professionisti. L’obiettivo delle professioni, pertanto, non è certo quello di reintrodurre tariffe obbligatorie, ma una serie di parametri, liberamente derogabili dalle parti, a cui si possa far riferimento per quantificare il valore della prestazione professionale.

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