Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo
La disciplina degli impianti audiovisivi e degli altri strumenti di controllo, contenuta nell'art. 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (modificato dal Jobs Act), è stata oggetto di un recente intervento dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro che, in direzione della “semplificazione” degli adempimenti e vincoli a carico delle imprese, ha fornito alcuni interessanti chiarimenti, di seguito sintetizzati.
Va ricordato che (in assenza di accordo sindacale) impianti e altri strumenti, da cui derivi la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati (per: esigenze organizzative e produttive, sicurezza del lavoro e tutela del patrimonio aziendale) su autorizzazione delle sede territoriale dell'INL o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive site negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell'INL: tali provvedimenti sono definitivi.
Istruttoria - L'esame delle istanze di autorizzazione di solito non coinvolge aspetti tecnici particolari che vadano valutati da un “ispettore tecnico” e, quindi, tale attività spetta al personale ispettivo o amministrativo e, solo in casi eccezionali comportanti valutazioni tecniche complesse, al personale ispettivo tecnico. L'attività valutativa, infatti, si concentra sull'effettiva esistenza delle ragioni legittimanti, con particolare riguardo alla specifica finalità per cui l'autorizzazione viene richiesta, e cioè le ragioni organizzative e produttive, di sicurezza sul lavoro e di tutela del patrimonio aziendale.
Quindi, eventuali condizioni all'uso delle varie strumentazioni vanno correlate alla finalità individuata nell'istanza senza ulteriori limitazioni tecniche. L'eventuale ripresa dei lavoratori dovrebbe avvenire in via incidentale e occasionale ma nulla impedisce, se sussistono le ragioni (es.: tutela della “sicurezza del lavoro” o del “patrimonio aziendale”), di inquadrare direttamente l'operatore, senza introdurre condizioni quali “l'angolo di ripresa” della telecamera o “l'oscuramento del volto del lavoratore”.
Neppure occorre specificare la posizione e il numero di telecamere, fermo però che le riprese devono essere connesse con le ragioni legittimanti il controllo e dichiarate, la cui sussistenza va verificata in sede di eventuale ispezione: ciò perché lo stato dei luoghi e il posizionamento delle merci o impianti produttivi è oggetto di modifiche nel corso del tempo e quindi è poco utile un'istruttoria analitica basata su planimetrie che, nel breve periodo, non sono più rappresentative del contesto lavorativo. Del resto, l'autorizzazione basata su documenti che “fotografano” lo stato dei luoghi in un dato momento diverrebbe inefficace appena questi siano modificati, con conseguente necessità di aggiornare la autorizzazione, pur a fronte delle stesse ragioni legittimanti l'installazione degli strumenti di controllo.
Infine, l'autorizzazione è rilasciata sulla base delle specifiche ragioni dichiarate dall'istante: l'attività di controllo, quindi, è legittima se funzionale alla tutela dell'interesse dichiarato, che non può essere modificato nel tempo neanche se si invochino altre ragioni legittimanti il controllo ma non dichiarate: eventuali controlli ispettivi dopo il rilascio dell'autorizzazione, quindi, dovranno anzitutto verificare che le modalità di utilizzo degli strumenti di controllo siano conformi e coerenti con i fini dichiarati.
Tutela del patrimonio aziendale - L'ampiezza della nozione di “patrimonio aziendale” rischia di non fungere da “idoneo filtro” all'ammissibilità delle richieste di autorizzazione. I principi di legittimità, determinatezza, proporzionalità, correttezza e non eccedenza, del fine perseguito richiedono gradualità nell'ampiezza e tipologia del monitoraggio, che renda residuali i controlli più invasivi, legittimandoli solo a fronte di specifiche anomalie, e solo dopo aver “provato” misure preventive meno limitative dei diritti dei lavoratori. Tra gli elementi da considerare nella comparazione degli interessi contrapposti, rientrano l'intrinseco valore e l'agevole asportabilità dei beni costituenti tale patrimonio.
Il problema non si pone per le richieste relative a dispositivi collegati a impianti antifurto che tutelano il patrimonio aziendale e che, entrando in funzione solo quando in azienda non vi sono lavoratori, non consentono alcun loro controllo incidentale; invece, se la richiesta di installazione riguarda dispositivi operanti in presenza di personale, occorre motivare l'esigenza di “tutela del patrimonio”.
Telecamere - I moderni sistemi di videosorveglianza si basano su tecnologie digitali e utilizzano una rete IP, cablata o wireless, che trasporta i dati video e audio digitali da un computer all'altro via internet; è anche possibile registrare, visualizzare e mantenere le informazioni video e audio in ogni punto della rete, o installare impianti di videosorveglianza a circuito chiuso, collegati all'intranet aziendale o via internet a postazione remota. Ove sussistano le ragioni giustificatrici, è autorizzabile da postazione remota sia la visione delle immagini “in tempo reale” che registrate, tuttavia l'accesso:
a) da postazione remota alle immagini “in tempo reale”, va autorizzato solo in casi eccezionali debitamente motivati;
b) alle immagini registrate, da remoto o “in loco”, va tracciato con apposite funzionalità che consentano di conservare i “log di accesso” per un periodo minimo di 6 mesi; quindi non va più posta come condizione, nell'autorizzazione, l'utilizzo del sistema della “doppia chiave fisica o logica”.
Quanto al “perimetro” spaziale, la giurisprudenza identifica come luoghi soggetti alla norma in esame anche quelli esterni ove venga svolta attività lavorativa saltuaria od occasionale (es. zone di carico e scarico merci). Secondo la Cassazione, l'installazione di una telecamera diretta verso il luogo di lavoro dei dipendenti o su spazi cui essi hanno accesso anche occasionalmente, va previamente autorizzata da uno specifico accordo con le OO.SS. o da un provvedimento dell'Ispettorato. Sarebbero invece da escludere le zone esterne estranee alle pertinenze della ditta, come per esempio il suolo pubblico, anche se antistante alle zone di ingresso all'azienda, nelle quali non è prestata attività lavorativa.
Dati biometrici - Il Garante per la privacy ha emanato un provvedimento prescrittivo in cui si evidenzia come “l'adozione di sistemi biometrici basati sull'elaborazione dell'impronta digitale o della topografia della mano può essere consentita per limitare l'accesso ad aree e locali ritenuti “sensibili” in cui è necessario assicurare elevati e specifici livelli di sicurezza o per consentire l'utilizzo di apparati e macchinari pericolosi ai soli soggetti qualificati e specificamente addetti alle attività”. Ne consegue che il riconoscimento biometrico, installato sulle macchine onde impedirne l'uso a soggetti non autorizzati, necessario per avviarne il funzionamento, può essere considerato uno strumento indispensabile a “... rendere la prestazione lavorativa ...” e quindi si può prescindere, ex art. 4, co. 2, della legge n. 300/1970, sia dall'accordo sindacale che dall'autorizzazione dell'INL.