Rapporti di lavoro

Lavoro all’estero in sicurezza

di Riccardo Borsari

Sempre più spesso le imprese italiane, anche di ridotte dimensioni, inviano personale all’estero. Ciò può dar luogo a criticità e problematiche, specie con riferimento all’individuazione del regime applicabile ai fini della salute e sicurezza sul lavoro. L’obbligazione di sicurezza che il datore di lavoro è chiamato ad assolvere, infatti, non è limitata, né temperata dal fatto che la prestazione lavorativa si svolga fuori dal territorio italiano; essa scaturisce dalla costituzione del rapporto di lavoro e trova giustificazione negli articoli 32 e 41 della Costituzione, che pongono limitazioni all’esplicazione della libertà di iniziativa economica privata, in virtù della prevalenza su questa degli interessi della sicurezza, libertà e dignità umana.

Su un piano generale, l’articolo 2087 del Codice civile prescrive che il datore di lavoro è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

La disciplina specifica del dovere di sicurezza risulta per lo più contenuta nel Dlgs 81/08 (Testo unico sicurezza) ed è diretta a prevenire gli infortuni e le malattie attraverso l’individuazione, la gestione e la riduzione dei rischi connessi all’esercizio dell’attività lavorativa; essa prevede molteplici e stringenti obblighi in capo al datore di lavoro, tra cui: i) la valutazione dei rischi specifici dell’attività, nonché dei rischi generici aggravati (cosiddetti «rischi Paese); ii) l’individuazione delle fonti di pericolo; iii) la predisposizione delle misure di sicurezza necessarie per proteggere i lavoratori, da attuarsi anche attraverso un’adeguata informazione e formazione di questi ultimi.

Ciò posto, qualora il lavoratore venga inviato all’estero, si pone il problema di stabilire quali siano, in concreto, gli obblighi cui il datore è specificatamente tenuto. Per la dottrina e la giurisprudenza prevalenti il datore deve garantire, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela individuati dalla legislazione italiana: le disposizioni che proteggono la salute dei lavoratori, infatti, devono ritenersi «ad applicazione necessaria» (Tribunale di Torino, sentenza 20 luglio 2010, n. 4932).

Se, in tale ottica, non si ravvisano particolari problemi qualora il lavoratore venga inviato presso altri Paesi Ue – dal momento che le direttive comunitarie hanno imposto agli Stati membri di raggiungere «standard minimi di tutela» che si allineano alla disciplina del Dlgs 81/08 – maggiori criticità si riscontrano in caso di distacco di lavoratori in Paesi extra Ue, che sovente presentano legislazioni inadeguate sotto il profilo del «duty of care» e non in linea con il quadro di riferimento europeo.

In tale contesto è evidente che qualora al rapporto di lavoro risulti applicabile la legge di un Paese straniero (Ue o extra Ue) con standard di sicurezza meno elevati rispetto a quelli italiani, il datore di lavoro dovrà, in ogni caso, garantire «misure di sicurezza idonee», vale a dire in grado di raggiungere il livello di sicurezza previsto dalla legislazione nazionale e, in particolare, quella del Testo unico 81/08: misure che, in virtù di quanto recentemente previsto dal Dlgs 151/15, il datore sarà peraltro tenuto a specificare nel contratto (o, comunque, in un accordo integrativo) con i lavoratori italiani da impiegare o trasferire all’estero.

La rilevanza del dovere di sicurezza e il rigore con cui esso è valutato dalla giurisprudenza spesso conducono all’accertamento di responsabilità in capo al datore di lavoro per i danni subiti dai suoi prestatori in terra straniera. Ad esempio, nel caso di due lavoratori inviati in Etiopia per svolgere lavori geotecnici rimasti vittima di un rapimento ad opera di un gruppo di guerriglieri e tenuti in ostaggio per nove mesi, la Cassazione (sentenza 22 marzo 2002, n. 4129) ha condannato al risarcimento dei danni il datore di lavoro per aver violato l’obbligo di cui all’articolo 2087 del Codice civile in quanto, pur essendo a conoscenza della grave situazione di pericolo esistente nella zona dei lavori, non aveva fatto uso di una maggiore diligenza nonché dei propri poteri decisionali in ordine alla sorveglianza nei confronti dei propri dipendenti, omettendo l’accertamento della reale situazione.
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