Previdenza

Si torna a parlare di Cigs per chiusura d’azienda

di Antonino Cannioto e Giuseppe Maccarone

Se le intenzioni governative verranno confermate, prima della fine dell’anno dovrebbe essere reintrodotta la Cassa integrazione straordinaria (Cigs) per cessazione di attività.

Uscito di scena nel gennaio 2016, in applicazione di uno dei principi postulati dal Jobs act (articolo 1, comma 2, legge 183/14), lo strumento - che consentiva il ricorso alla Cassa come sub causale della crisi aziendale anche per un settore ovvero uno o più stabilimenti o parte degli stessi – tornerebbe a rivivere grazie a uno specifico intervento legislativo (verosimilmente un decreto legge). In tal senso, infatti, si è pronunciato il ministro del lavoro Di Maio durante la sua recente visita ai lavoratori in esubero della Bekaert.

Se da una parte appare rilevante e socialmente condivisibile riconoscere un sostegno ai lavoratori in situazione di crisi, dall’altra la possibile scelta governativa pone più di qualche perplessità.

In primo luogo, si tratterebbe dell’ennesima occasione in cui un governo neo insediatosi va a modificare scelte e indirizzi dell’Esecutivo precedente. Come si è avuto modo di vedere nel recente passato, queste logiche rischiano di generare confusione e instabilità al sistema nel suo complesso. Sul fronte degli ammortizzatori sociali va poi ricordato che, dopo un lungo periodo di stasi, il mondo del lavoro ha dovuto adattarsi a due riforme consecutive: quella derivante dalla legge 92/12 e la successiva attuata dal Dlgs 148/15 e relativo decreto correttivo. In materia di cassa, entrambe le norme hanno affermato un principio chiaro: l’intervento statale deve essere in linea con i principi ispiratori dell’integrazione salariale, finalizzata a una ripresa dell’attività aziendale e alla salvaguardia dell’occupazione.

In tale prospettiva, l’articolo 2, comma 70, della “legge Fornero”, dal gennaio 2016 ha abrogato l'articolo 3 della legge 223/91 che prevedeva la Cigs per le imprese in procedura concorsuale; parallelamente, e con la medesima decorrenza, l’articolo 21 del decreto di riordino degli ammortizzatori sociali, nell’enucleare le causali Cigs, ha escluso il ricorso alla Cassa nei casi di crisi aziendale con cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di essa.

Vale anche la pena di ricordare che la Cassa integrazione, come la Naspi, è una misura di tipo previdenziale e non assistenziale, finanziata da un contributo che - nelle ipotesi di intervento straordinario – è, peraltro, suddiviso tra azienda e lavoratori (rispettivamente 0,60% e 0,30%). Inoltre, in relazione all’utilizzo della Cigs, l’impianto prevede un contributo addizionale, a totale carico dell’impresa, commisurato in funzione del ricorso allo strumento durante un quinquennio (più si usa, più si paga). I periodi di Cig sono, altresì, validi ai fini pensionistici, in quanto i lavoratori hanno diritto alla contribuzione figurativa.

Nessuno vuole disconoscere il pregevole intento di sostenere i lavoratori in difficoltà, ma va ricordato che la Cig rappresenta una forma di tutela in costanza di rapporto di lavoro e che la cessazione dell’attività determina, invece, la perdita dell’occupazione. Per quest’ultima esistono già differenti misure e altre ancora se ne potranno introdurre. A prescindere dai costi, sembra possibile rilevare che, a distanza di quasi 30 anni dall’entrata in vigore della legge 88/89, la politica appare ancora ondivaga sull’adozione di soluzioni che fondino le loro radici sulla fondamentale differenza tra interventi di natura previdenziale e altri di tipo assistenziale.

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