Previdenza

Gestione separata Inps in cerca di un nuovo equilibrio

di Andrea Dili e Stefano Patriarca

La recente approvazione del Jobs act per il lavoro autonomo e gli interventi sul prelievo previdenziale dei professionisti iscritti alla gestione separata (passato dal 33,72% previsto dalla riforma Fornero al 25,72%) sollecitano alcune riflessioni sul lavoro autonomo e sul suo rapporto, complesso, con il sistema fiscale e del welfare.

Tasso di sostituzione
In particolare è emersa qualche preoccupazione per il possibile rischio di diminuire l’adeguatezza delle pensioni in relazione alla riduzione dell’aliquota. Questo rischio a nostro avviso non c’è. Anzi, a ben vedere, il sistema contributivo della gestione separata potrebbe garantire prestazioni adeguate anche con contributi inferiori agli attuali. Prova ne è che i tassi di sostituzione netti delle pensioni dei lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata Inps sono analoghi a quelli dei lavoratori dipendenti (con aliquote più alte) e significativamente superiori a quelli maturati dai professionisti iscritti alle casse autonome (con aliquote più basse).

Ipotizzando andamenti economici e demografici di lungo periodo previsti dalla Ragioneria generale dello Stato, andamenti modesti dei redditi e scontando anche i futuri adeguamenti dei coefficienti di trasformazione alla speranza di vita, le tabelle pubblicate qui sotto evidenziano come si determinino tassi di sostituzione (per i redditi medio bassi) pari o superiori al 70% dell’ultimo reddito netto, in linea con quelli ottenuti dai lavoratori dipendenti. Il dato non è sorprendente poiché stiamo parlando di soggetti che devono destinare ben un quarto del proprio reddito a risparmio previdenziale e che al momento della pensione vedono aumentare il netto proprio perché non devono più corrispondere i contributi previdenziali, riducendo drasticamente il cuneo fiscale.

Un equilibrio difficile
Nonostante le modifiche introdotte, a questo tipo di lavoro autonomo viene applicato un modello previdenziale più vicino alle logiche del lavoro dipendente che del lavoro professionale, visto che per il mondo delle professioni “ordiniste” vengono applicate aliquote contributive significativamente più basse e più flessibili.

Quando si tratta di lavoro autonomo non bisogna dimenticare che l’onere contributivo è interamente a carico del lavoratore, a differenza di quanto accade per il dipendente, che sopporta meno di un terzo dell’onere previdenziale, essendo il resto corrisposto dal datore di lavoro. Quindi, il futuro rendimento pensionistico per il lavoratore autonomo va valutato all’interno di un delicato equilibrio tra rinuncia a reddito presente e futura prestazione pensionistica, e che l’onere contributivo si aggiunge a un prelievo fiscale particolarmente consistente, generando un prelievo complessivo molto rilevante. I dati raccolti nella prima tabella documentano come il gap tra redditi lordi e netti sia già considerevole su valori reddituali bassi per raggiungere il livello monstre del 50% intorno ai 60.000 euro lordi. È evidente che se un reddito lordo di 30mila euro viene ridotto del 44%, lasciando al professionista un netto di 17mila euro, si rende il prelievo iniquo e difficilmente sostenibile. Basta considerare che per un lavoratore dipendente un tale livello di prelievo fiscale e contributivo si manifesta a redditi più che doppi. In definitiva un accantonamento obbligatorio di un quarto del reddito destinato a finanziare reddito futuro (pensione), combinato con un prelievo fiscale elevato, aggrava la stato di “eccesso di risparmio previdenziale” e carenza di redditi e investimenti attuali tipico del nostro sistema, definendo un modello anomalo anche rispetto al resto del lavoro professionale italiano.

Risorse da liberare
Occorre allora valutare se, in un contesto economico sempre più turbolento, sia opportuno avviare un percorso di riequilibrio nel rapporto tra redditi attuali e risparmio futuro a favore di una maggiore valorizzazione delle capacità di spesa e investimento dei lavoratori autonomi. Sarebbe opportuno rendere più flessibile il rapporto tra risparmio e reddito, definendo un’aliquota “obbligatoria” più bassa dell’attuale e una possibilità di contribuzione volontaria aggiuntiva gestita dal professionista in relazione alle proprie esigenze personali e reddituali. Verso questa evoluzione spinge anche l’innalzamento dell’età di pensionamento, che sostiene il livello delle pensioni future (più tardi ci si pensiona più elevata sarà la pensione) ma determina necessità di maggiori disponibilità di reddito proprio durante una vita attiva che si allunga. Si dovrebbe riflettere sull’opportunità di una riforma della gestione separata Inps che prevedesse per i professionisti l’adozione di un sistema flessibile analogo a quello delle casse di previdenza autonome, meno oneroso e in grado di gestire prestazioni aggiuntive di welfare. Questo processo risponderebbe anche alla rilevante richiesta di maggiori prestazioni di welfare che viene dal mondo delle professioni e che ha trovato le prime risposte nello Statuto del lavoro autonomo recentemente approvato dal Parlamento.

I calcoli

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