Contrattazione

Il lavoratore a termine «prenota» il posto fisso con la richiesta scritta

diAlberto Bosco e Josef Tschöll

Ho appena assunto la carica di responsabile del personale dell’impresa di famiglia ed ecco la prima “grana”: un dipendente da poco cessato dal servizio (è la seconda volta che lo assumiamo a tempo determinato) mi chiede un appuntamento e, dopo i convenevoli, mi porge un foglio (datato e da lui firmato) sul quale c’è scritto che – secondo quanto previsto dalle norme vigenti – intende esercitare il proprio diritto di precedenza, in vista di una futura assunzione a tempo indeterminato. Non so come comportarmi. Cosa devo fare? Come posso rispondere? Sono obbligato ad assumerlo?

V.L. - Barletta

Esercitando il diritto di precedenza, il lavoratore che era stato assunto con un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato “prenota” un posto di lavoro a tempo indeterminato: è questo, in sintesi, il nocciolo della previsione contenuta nell'articolo 24 del Dlgs 81/2015, una delle più importanti norme di attuazione del Jobs Act.

Prima di approfondire la disciplina generale, però, dobbiamo precisare che la norma appena citata individua ben tre diversi diritti di precedenza i quali, rispettivamente, riguardano: la generalità dei lavoratori assunti a tempo determinato; le lavoratrici che hanno fruito del congedo di maternità durante l’esecuzione di un contratto a tempo determinato presso lo stesso datore di lavoro; i lavoratori assunti a tempo determinato per lo svolgimento di attività stagionali.

La clausola nel contratto

Occupandoci della prima ipotesi, che è certamente la più frequente, dobbiamo anzitutto evidenziare – e si tratta della vera novità introdotta dalla riforma del 2015 – che la norma (articolo 24, comma 4) dispone che il diritto di precedenza deve essere espressamente richiamato nell’atto scritto - di cui all’articolo 19, comma 4 - da parte del datore che assume.

La disposizione cui si fa riferimento stabilisce che, con l’eccezione dei rapporti di lavoro di durata non superiore a 12 giorni, l’apposizione del termine al contratto è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto, una copia del quale va consegnata dal datore al dipendente entro cinque giorni lavorativi dall’inizio della prestazione. Di recente, la Cassazione (ordinanza n. 2774 del 5 febbraio 2018) ha stabilito che la mera consegna della copia del contratto al lavoratore non è sufficiente: occorre, infatti, la firma dell’interessato per accettazione.

Il primo obbligo a carico del datore di lavoro, dunque, consiste nell’inserire, nel contratto di assunzione a tempo determinato, una clausola del seguente tenore: «la scrivente società si impegna a rispettare il suo eventuale diritto di precedenza» oppure «la scrivente società si impegna a rispettare quanto previsto dall’articolo 24 del Dlgs 15 giugno 2015, n. 81».

Vale la pena di evidenziare che tale obbligo è assoluto, ossia non è condizionato al fatto che il contratto che si sta avviando abbia una durata minima. Inoltre, anche se il datore di lavoro non ha inserito nel contratto il richiamo al diritto di precedenza, questo può essere esercitato ugualmente; in caso contrario, infatti, la violazione (da parte del datore) di un obbligo di legge avrebbe come conseguenza un indebito vantaggio a favore di chi, appunto, non ha rispettato una norma cogente.

L’anzianità

Una volta che il rapporto sia stato correttamente avviato e, infine, sia giunto a scadenza – va infatti evidenziato che il contratto a tempo determinato cessa semplicemente per lo spirare del termine finale, con la conseguenza che non si tratta di licenziamento – il lavoratore deve fare le proprie verifiche e capire, dopo aver deciso che l’esperienza con quel datore di lavoro è stata positiva, se gli è possibile o meno esercitare il diritto di precedenza in questione.

Ebbene, il primo controllo da porre in essere è quello relativo alla durata complessiva di tutti i rapporti a termine con il medesimo datore: la norma dispone infatti che il lavoratore, nell’esecuzione di uno o più contratti a tempo determinato presso la stessa azienda, deve aver prestato la propria attività lavorativa per un periodo superiore a 6 mesi: occorre quindi una pregressa anzianità lavorativa complessiva di almeno 6 mesi e 1 giorno, in difetto di che l’eventuale “prenotazione” non ha alcun valore.

Diverse disposizioni possono essere applicate nel caso di contratti collettivi, che l’articolo 51 del Dlgs 81/2015, identifica nei contratti collettivi con i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e nei contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria. Regole ad hoc, dunque, possono essere previste anche a livello aziendale.

La «forma scritta»

Verificata, con esito positivo, l’anzianità complessiva con quel datore di lavoro occorre darsi da fare con una certa sollecitudine. E quindi, come fatto dal dipendente di chi ci ha sottoposto il quesito, esercitare il diritto di precedenza in forma scritta: eventuali “discorsi” o richieste verbali non sono infatti sufficienti. La forma scritta condiziona la validità del diritto di precedenza, essendo l’unica ammessa per manifestare al datore la volontà del dipendente in tal senso.Il lavoratore deve tenere presente l’obbligo di manifestare per iscritto la propria volontà al datore di lavoro entro 6 mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro e che il diritto di precedenza si estingue dopo un anno dalla data di cessazione del rapporto.

Le tempistiche

A questo punto, al lavoratore, non resta che attendere: infatti, il diritto di precedenza opera con riguardo alle nuove assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i 12 mesi successivi rispetto alla data di cessazione del rapporto, con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine.

Perché il diritto operi, la nuova assunzione deve essere effettuata dal medesimo datore di lavoro entro 12 mesi; deve essere a tempo indeterminato (e, quindi, a partire dal 7 marzo 2015, con il contratto a tutele crescenti di cui al Dlgs 7 marzo 2015, n. 23); deve riguardare le «mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine», e quindi non mansioni simili o «equivalenti» e, meglio ancora, non si deve trattare solamente di mansioni di «pari livello e categoria legale».

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