Contrattazione

Alla Ruffino blockchain e big data anche per gli enologi

Prendi una cantina italiana e trasformala, da un giorno all’altro, nel brand di una holding che primeggia sul mercato americano e fa un uso trasversale di tecnologie all’avanguardia. Un’ipotesi? No: è quello che è successo nel 2001 a Ruffino, azienda vitinicola toscana, entrata a far parte del colosso del beverage statunitense Constellation Brands. Uno choc per i dipendenti, costretti a un cambio di mentalità «abbastanza radicale» rispetto alle proprie competenze. «La digitalizzazione era già radicata anche in tutta la filiera produttiva - spiega Emanuele Rossini, direttore del personale della Ruffino -. Si andava dalla parte agronomica, alla vinificazione, all’imbottigliamento, alla gestione delle risorse umane». I lavoratori hanno dovuto familiarizzare con tecnologie abbastanza avveniristiche, per l’epoca: dal digital mapping per valutare la maturazione delle uve alla blockchain per certificare i vini di punta, passando per l’analisi dei “soliti” Big data come metro per le scelte di marketing. Oggi, spiega Rossini, il «capitale umano è fortemente abituato a rapportarsi con l’intelligenza artificiale e a trarne grande vantaggi. E questo va in controtendenza nel settore del vino».

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