Contenzioso

Cassazione: la violazione degli obblighi di formazione non è soggetta a sanzione penale

di Simona Maretti

La disciplina in materia di cantieri temporanei o mobili di cui al titolo IV del D.Lgs. n. 81/2008 – e segnatamente il contenuto dell'art. 96 - è applicabile anche a cantieri installati allo scopo di realizzare opere di impiantistica elettrica.
Così si pronuncia la Suprema Corte, sez. 3 pen., n. 10023 del 10 marzo 2015, accogliendo il primo motivo di ricorso, con riferimento al legale rappresentante dell'impresa esecutrice che aveva omesso di installare nel cantiere in cui erano in corso lavori di ristrutturazione edilizia i servizi igienici, come previsto dall'allegato XIII del D.Lgs. n. 81/2008, nonché di redigere il piano operativo per la sicurezza, ai sensi dell'art. 96, comma 1, lettera g) del D.Lgs. n. 81/2008. Il ricorrente aveva escluso l'applicabilità delle norme citate alla realizzazione delle opere in questione.
E' necessario ricordare che l'art. 89 del D.Lgs. n. 81/2008 definisce cantiere temporaneo o mobile, qualunque luogo in cui si effettuano lavori edili o di ingegneria civile il cui elenco è riportato nell'allegato X. Il suddetto allegato comprende, fra l'altro, "i lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione, risanamento, ristrutturazione o equipaggiamento, la trasformazione, il rinnovamento o lo smantellamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura, in cemento armato, in metallo, in legno o in altri materiali, comprese le parti strutturali delle linee elettriche e le parti strutturali degli impianti elettrici, le opere stradali, ferroviarie, idrauliche, marittime, idroelettriche e, solo per la parte che comporta lavori edili o di ingegneria civile, le opere di bonifica, di sistemazione forestale e di sterro".
Va da sé che lo svolgimento di opere elettriche rientra a pieno titolo nel campo di applicazione del titolo IV del D.Lgs. n. 81/2008. Peraltro, la giurisprudenza è pacifica nell'affermare che tutte le imprese esecutrici operanti nel cantiere devono rispettare le prescrizioni dell'art. 96.
La Suprema Corte, nella sentenza in commento, accoglie invece il secondo motivo di ricorso del datore di lavoro, avente ad oggetto l'irrilevanza penale della violazione degli obblighi di informazione, formazione e addestramento affermata dal ricorrente. Rileva infatti il giudice di legittimità che nell'impianto sanzionatorio di cui al D.Lgs. n. 81/2008 – e, segnatamente nell'art. 55 rubricato "sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente" - non è punita penalmente l'inosservanza dei predetti obblighi.
L'affermazione si basa sull'orientamento già espresso dal giudice di legittimità (Cass. 23.1.2014, n. 3145), secondo cui la struttura del D.Lgs. n. 81/2008 "è chiarissima nel distinguere, al proprio interno, un complesso di disposizioni precettive che, poi, trovano una sanzione negli artt. che vanno dal 55 al 60. Tuttavia, nell'art. 55 - unica norma nella quale si cita l'art. 18 (comma 5, lettere c), d) ed e)) - non è richiamata la disposizione che qui si assume violata (vale a dire la l'art. 18, comma 1, lett. L)". La Corte ne fa conseguire la violazione del principio di legalità perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, giacché l'enunciazione di cui alla citata lett. L), infatti, si risolve in una disposizione programmatica priva di sanzione penale e, come tale, anche, effettivamente, generica.
La soluzione non convince, in quanto gli artt. 36 e 37 del D.Lgs. n. 81/2008 possono ben dirsi attuazione del disposto dell'art. 18, lettera l) e tali norme sono contemplate dall'art. 55 nel catalogo delle condotte sanzionabili penalmente. In particolare l'art. 55, comma 5, lettera c) punisce la violazione dell'art. 36, comma 1 e 2 e dell'art. 37 commi 1, 7, 9 e 10 con la pena dell'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da 1.200 a 5.200 euro. Il mancato richiamo alla lettera l) dell'art. 18 da parte dell'art. 55 – che viceversa richiama le disposizioni di cui all'art. 18 lettere c), e), f) e q) – non può portare comunque a diverse conclusioni. Semmai può ritenersi frutto di una svista del legislatore che, altrimenti, in modo del tutto incoerente, non avrebbe dovuto nemmeno includere gli art. 36 e 37.
Infine, sul piano della determinazione della pena, la Suprema Corte ha rilevato che la condanna ad una somma prossima al minimo edittale – in particolar modo ove si ricorra in reati continuati – non presuppone un particolare onere motivazionale, che si ritiene assolto attraverso l'indicazione della corrispondenza a giustizia della sanzione irrogata. Ciò presuppone la corretta applicazione dell'art. 133 c.p. secondo cui nell'esercizio del suo potere discrezionale il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta: 1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione; 2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; 3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.
Peraltro, la condanna ad una pena non contenuta nel minimo edittale non esclude la legittimità della concessione delle attenuanti generiche, essendo tale valutazione fondata su elementi differenti.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©