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Codice degli appalti pubblici, novità in tema di applicazione dei contratti collettivi

di Tiziano Treu e Angelo Pandolfo

N. 2

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La revisione del Codice dei contratti pubblici: un'occasione per ritornare sulla questione dei criteri di valutazione della rappresentatività. Lo schema di decreto legislativo di revisione del Codice era volto alla introduzione di criteri fissati a livello legislativo. Le considerazioni critiche emerse al riguardo hanno portato ad una marcia indietro. Il nuovo decreto legislativo si astiene dall'intervenire. La questione della comparazione delle varie associazioni, che operano come agenti negoziali, rimane nell'incertezza

Vorrei ma non posso……

La regolazione contenuta nel codice dei contratti pubblici è non da oggi oggetto di controversie e fonte di incertezze interpretative.

Le ultime vicende che hanno portato all' approvazione del decreto legislativo 31dicembre 2024 n. 209 non fanno eccezione.

Nel corso della approvazione del decreto, è apparsa, inattesa, una disposizione riguardante i criteri di rappresentatività delle associazioni sindacali: un vero e proprio colpo di fulmine dato che la questione era da anni in discussione, ma nella quale il legislatore aveva sempre evitato di intervenire direttamente.

Per di più nello schema di decreto erano introdotte disposizioni riguardanti i parametri per individuare il contratto sottoscritto dalle "associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale dei datori e dei prestatori di lavoro": un' altra novità perché le norme riguardavano la rappresentatività di ambedue le associazioni contraenti, mentre tradizionalmente si era sempre discusso e considerato la questione solo per la parte delle associazioni dei lavoratori .

Al di là del metodo dell' intervento, non preceduto da nessuna interlocuzione con le parti sociali, le indicazioni di merito avevano sollevato subito motivate reazioni critiche sia di molti commentatori sia delle maggiori organizzazioni rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro, che infatti avevano chiesto un confronto con il Governo per discutere del tema.

Fatto si è che nella versione approvata del decreto il tema dei criteri di rappresentatività non appare più.

C'è da augurarsi che questo ripensamento serva non a rinviare ancora la questione della rappresentatività delle associazioni e dei contratti da esse stipulati, ma ad aprire il confronto con le parti per risolverla.

In ogni caso il decreto n. 209, ancorché privato delle disposizioni controverse, contiene non poche norme significative che necessitano di chiarimento, in particolare riguardanti il contratto collettivo applicabile al personale impiegato negli appalti pubblici.

Il contratto collettivo che le stazioni appaltanti sono tenute ad indicare: criteri per orientarsi al riguardo

Il nuovo decreto lascia fermo il principio generale fissato dall' art .11, comma 1, secondo cui al personale impiegato in questi appalti deve applicarsi il contratto collettivo stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, "il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell' appalto o della concessione svolta dalla impresa, anche in maniera prevalente" .

Questa norma era apparsa relativamente di facile applicazione anche per quanto riguarda la determinazione del carattere prevalente dell'oggetto dell' appalto o della concessione; e in tal modo comportava comunque la applicazione di un solo contratto collettivo

L' art. 2 dell'Allegato I.01 fornisce indicazioni metodologiche alle stazioni appaltanti per accertare la stretta connessione dell' ambito di applicazione del contratto collettivo rispetto alle prestazioni oggetto dell' appalto o della concessione, indicando che a tal fine si deve fare riferimento ai codici ATECO definiti dall'ISTAT e alla classificazione dei contratti collettivi effettuata dal CNEL.

Nella classificazione ATECO le varie attività economiche sono raggruppate, dal generale al particolare, in sezioni, divisioni, gruppi, classi, categorie e sottocategorie.

A sua volta, il CNEL classifica i contratti collettivi in macrosettori e settori, tenendo conto dell'ambito di applicazione dei vari contratti.

Grazie a tali classificazioni è possibile, secondo l'Allegato I.01, individuare quale è il codice ATECO dell'attività da svolgere in esecuzione dell'appalto o della concessione e quale contratto collettivo, secondo la classificazione CNEL, riguarda la predetta attività.

Operazione, già questa, con profili di problematicità.

La classificazione CNEL abbraccia 14 macrosettori, fra cui anche il macrosettore "CCNL multisettoriali", relativi ad una pluralità di settori tanto da essere classificati in più settori.

Un contratto collettivo specializzato nella particolare attività da svolgere e un contratto collettivo intersettoriale che abbraccia anche tale attività e molte altre, sono da porre sullo stesso piano nell'individuare il contratto collettivo con l'ambito di applicazione strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto o della concessione?

La nuova normativa non aiuta a rispondere a tale interrogato e, anzi, dà l'impressione di non considerarlo rilevante.

La novità rilevante rispetto alla situazione precedente è quella introdotta dal nuovo comma inserito all'interno dell' art 11. 2 bis.

In presenza di prestazioni scorporabili, secondarie, accessorie o sussidiarie, qualora le relative attività siano differenti da quelle prevalenti oggetto dell'appalto o della concessione e si riferiscano, per una soglia pari o superiore al 30 per cento, alla medesima categoria omogenea di attività, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti indicano altresì nei documenti di cui al comma 2 il contratto collettivo nazionale e territoriale di lavoro in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicabile al personale impiegato in tali prestazioni".

Questa nuova norma riconosce espressamente la possibilità che le stazioni appaltanti indichino due o anche più di due contratti collettivi: una possibilità che appare realistica, in quanto riflette la presenza di appalti aventi oggetto attività complesse e fra loro eterogenee, così da giustificare la applicazione di contratti collettivi diversi.

La norma fornisce due indicazioni utili per una sua corretta applicazione, stabilendo che

a) deve trattarsi di prestazioni secondarie, accessorie o sussidiarie scorporabili dalla attività principale, b) queste devono rappresentare una quota pari o superiore al 30% della medesima attività.

Il rinvio alle scelte del Ministero del Lavoro

Una questione più complessa e potenzialmente controversa è quella riguardante la norma dell' Allegato I.01, che si occupa della identificazione dei soggetti stipulanti i contratti strettamente connessi con l'oggetto dell' appalto o della concessione.

Nella versione entrata in vigore non compare più, per quanto detto sopra, la indicazione presente nella formulazione originaria dei criteri di rappresentatività delle parti contraenti; ma si fa rinvio all' art 41, comma 13, dello stesso Codice dei contratti.

Da tale rinvio deriva che le stazioni appaltanti o gli enti concedenti, ai fini della individuazione del contratto collettivo da indicare fra quelli connessi all'oggetto dell'appalto o della concessione, privilegiano, come richiesto dall'art. 11 del Codice, il contratto stipulato della associazioni comparativamente più rappresentative e, in concreto, indicano il contratto collettivo a cui ha fatto riferimento il Ministero del lavoro per la redazione delle tabelle di determinazione del costo medio del lavoro a stregua dell'art. 41, comma 13.

La selezione operata dal Ministero del lavoro per la determinazione del costo medio del lavoro, che il Ministero è tenuto ad effettuare considerando "… i valori economici definiti dalla contrattazione collettiva nazionale fra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni dei datori comparativamente più rappresentative", viene così ad assumere una duplice funzione: serve, come appena detto, a definire le tabelle relative al costo del lavoro ma serve anche ad individuare il contratto collettivo da indicare nei bandi di gara o ai fini delle concessioni.

Ma la norma prende in considerazione anche la ipotesi che le tabelle ministeriali per la determinazione del costo di lavoro non siano disponibili.

In questo caso, stabilisce che, in presenza di più contratti collettivi strettamente connessi con l' attività oggetto dell'appalto o della concessione, le stazioni appaltanti chiedono al Ministero del lavoro di indicare sulla base delle informazioni disponibili il contratto collettivo di lavoro stipulato tra le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative applicabili alle prestazioni oggetto dell'appalto o della concessione.

La formula, discutibile per la sua formulazione, stabilisce che in assenza delle tabelle sul costo del lavoro il Ministero del lavoro deve rispondere alla richiesta delle stazioni appaltanti indicando, sulla base delle informazioni disponibili, quali sono i contratti collettivi da applicare.

C'è da domandarsi quali siano le informazioni che dovranno essere considerate dal Ministero.

Deve ritenersi che siano quelle rilevanti per accertare i criteri relativi alla qualità di comparativamente rappresentative delle associazioni. Ma sono appunto quelle che il legislatore ha rinunciato a definire da decenni e anche nella ultima versione del decreto.

Quindi, a meno di non ipotizzare criteri nuovi, che non si potrebbero giustificare in mancanza di indicazioni legislative, non c'è che da rifarsi alle caratteristiche tradizionalmente considerate dalla giurisprudenza.

Queste, però, sono identificate in modo spesso generico e in ogni caso in assenza di informazioni precise sia qualitative sia quantitative circa la consistenza rappresentativa delle associazioni.

Il contratto collettivo indicato dall'operatore economico e l'equivalenza delle tutele

Un' altra questione di non facile soluzione è quella relativa alla norma dell'Allegato I.01 (art. 4) concernente la dichiarazione di equivalenza delle tutele che gli operatori economici possono affermare nella propria offerta qualora vogliano applicare un contratto diverso da quello concluso dalle associazioni comparativamente più rappresentative.

Anzitutto non può non rilevarsi una discrasia fra il comma 3 dell' art. 11 del decreto secondo cui gli operatori economici possono indicare nella loro offerta un contratto diverso da quello di cui al comma 1 (quello stipulato dalle associazioni comparativamente più rappresentative), purché garantisca ai dipendenti le stesse tutele, e la possibilità ammessa dall'art 4 dell' Allegato di applicare un contratto con tutele non uguali ma equivalenti.

In ogni caso, una volta ammessa la possibilità di applicare contratti con tutele equivalenti, la valutazione di questa equivalenza risulta necessariamente approssimativa, soprattutto per le tutele normative che non sono facilmente quantificabili come le tutele economiche

Infatti, l'art. 4, per valutare la equivalenza economica dei contratti elenca un serie di cinque voci riguardanti tutte elementi della retribuzione, che sono fra loro omogenee e pertinenti.

Per valutate invece la equivalenza delle tutele normative il testo dell'articolo indica 14 voci fra loro del tutto eterogenee il cui apprezzamento è alquanto opinabile; vedi, ad es., la voce disciplina relativa alla bilateralità.

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