Coinvolgimento paritetico dei lavoratori e decontribuzione del premio di risultato
Il limite stabilito dal legislatore (leggi di bilancio 2016-2017) per la detassazione dei premi di risultato, è di 3.000 euro lordi annui, mentre il tetto massimo di reddito percepito dal lavoratore per usufruire dell'agevolazione fiscale è di 80.000 euro lordi annui (prima delle modifiche apportate dalla legge di bilancio 2017, tali limiti erano, rispettivamente, 2.000, 2.500 e 50.000 euro lordi annui).
L'incremento a 4.000 euro dell'importo detassabile per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell'organizzazione del lavoro, previsto dal comma 189 della legge n. 208/15, riguarda, ormai, solo i premi di risultato erogati in conseguenza di contratti collettivi aziendali e territoriali stipulati anteriormente al 24 aprile 2017 e ciò in quanto da tale data è entrata in vigore la correzione operata dall'articolo 55 del Dl n. 50/17, poi convertito dalla legge n. 96/2017, in forza del quale l'originaria disciplina viene interamente sostituita.
La nuova regola non prevede più, a fronte del coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell'organizzazione del lavoro, l'innalzamento dell'importo del premio di risultato, bensì la riduzione di 20 punti percentuali dell'aliquota contributiva a carico del datore di lavoro per il regime relativo all'invalidità, alla vecchiaia e ai superstiti su una quota delle erogazioni previste non superiore a 800 euro. In aggiunta, con riferimento alla quota di erogazioni di cui sopra, è prevista la corrispondente riduzione dell'aliquota contributiva di computo ai fini pensionistici e sulla stessa non è dovuta alcuna quota a carico del lavoratore.
Con questo provvedimento il legislatore (re)introduce stabilmente, e non più aggiuntivamente rispetto all'ammontare massimo del premio di risultato detassato, una nuova fattispecie di decontribuzione (complementare alla detassazione), strumento ulteriormente incentivante che aveva, inopinatamente, abbandonato già dal 2015.
Si tratta di un provvedimento riconducibile, pur nella sua limitata, ma non irrilevante, dimensione, all'interno della largamente inattuata cornice normativa dell'articolo 46 della Costituzione, che riconosce “il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”; un provvedimento che, stante l'ampia formulazione normativa, si potrebbe definire un “brandello di democrazia industriale diretta”, essendo finalizzato a garantire la partecipazione, in condizione di uguaglianza con il management aziendale, dei lavoratori all'organizzazione del processo produttivo e del lavoro ad esso necessario.
In base all'articolo 4 del decreto interministeriale 25 marzo 2016, il vantaggio contributivo discende dalla previsione nel contratto collettivo (aziendale o territoriale), ancorché a titolo esemplificativo, di team di lavoro formati da responsabili aziendali e lavoratori, vale a dire gruppi misti di manager e lavoratori finalizzati al miglioramento o all'innovazione di aree produttive o sistemi di produzione, con strutture permanenti di orientamento e monitoraggio degli obbiettivi da perseguire, nonché di rendicontazione periodica dei risultati raggiunti, all'interno dei quali non rientrano, per espressa previsione regolamentare, “gruppi di lavoro di semplice consultazione, addestramento o formazione”.
Svincolato dall'organizzazione rappresentativa sindacale in azienda, il coinvolgimento dei lavoratori nell'organizzazione produttiva potrà avvenire, seppure dentro la cornice della regolazione di cui al contratto collettivo di secondo livello, con qualsiasi modalità esecutiva che garantisca la pariteticità della partecipazione e che sia capace di manifestare il pensiero, le convinzioni, le proposte dei lavoratori. Secondo la Circolare n. 28/E/2016 delle Entrate, perché possa configurarsi tale coinvolgimento è, infatti, necessario “che i lavoratori intervengano, operino ed esprimano opinioni che, in quello specifico contesto, siano considerate di pari livello, importanza e dignità di quelle espresse dai responsabili aziendali che vi partecipano con lo scopo di favorire un impegno ‘dal basso' che consenta di migliorare le prestazioni produttive e la qualità del prodotto e del lavoro”.
Per realizzare questa sorta di gainsharing, la partecipazione, il coinvolgimento, l'impegno bottom up dei lavoratori potrà esprimersi con modalità di socializzazione tradizionale, ossia con riunioni e meeting, in presenza o a distanza, ma anche, virtualmente, attraverso gli ormai diffusissimi social media digitali (sempre più performanti e inclusivi, grazie a tecnologie informatiche in costante evoluzione), ovvero le reti sociali informatiche a livello planetario (internet) a cui possono accedere tutti gli utenti o a livello aziendale (intranet) a cui possono avere accesso solo utenti riconosciuti.
In quest'ottica, dunque, la partecipazione potrà consistere nella costituzione paritetica e permanente di forum tematici, gruppi di lavoro, comunità virtuali e chat di lavoratori, all'interno dei quali, sia attraverso internet e i social media esistenti, sia attraverso la rete intranet aziendale e strumenti informatici ad hoc, verranno discusse opinioni tecniche, proposte di miglioramento o di innovazione dei processi produttivi, di contenimento dei costi, di allocazione ottimale delle risorse, di riduzione degli infortuni, di modalità lavorative, di sviluppo di nuovi prodotti e chi più ne ha più ne metta, con il fine di incrementare la competitività e la redditività aziendale, tutto sotto la guida di moderatori competenti, interni o (forse più opportunamente) esterni all'azienda che, senza bisogno di riunioni fisiche, monitorino gli obiettivi da perseguire e predispongano rapporti periodici con cui illustrare le attività svolte e i risultati raggiunti.
Anche la Circolare n. 5/E delle Entrate del 29 marzo 2018, che specifica e stabilisce, fra le altre, anche le norme applicative per la costituzione e la definizione delle attività riconosciute in relazione al coinvolgimento paritetico idonee ad ottenere lo sgravio contributivo, pare confermare l'opzione digitale.
Considerando, infatti, che tale coinvolgimento deve realizzarsi mediante schemi organizzativi che permettono di “ingaggiare”, in modo diretto e attivo, i lavoratori nei processi di innovazione e miglioramento delle prestazioni, con incrementi di efficienza e produttività (nonché nel miglioramento della qualità della vita e del lavoro), l'utilizzo di nuove tecnologie di partecipazione paritetica digitale rappresenterebbe, di per se stesso, un processo di innovazione capace di migliorare le prestazioni, l'efficienza e la produttività e, perché no, anche la qualità della vita e del lavoro (si pensi, ad esempio, alla partecipazione digitale da remoto nel lavoro agile o nel telelavoro).
Ad ogni buon conto, secondo la Circolare, il coinvolgimento deve essere formalizzato dall'azienda con un apposito “Piano di Innovazione”, elaborato dal datore di lavoro secondo le indicazioni del contratto collettivo (aziendale o territoriale), il quale deve riportare:
1.la disamina del contesto di partenza;
2.le azioni partecipative e gli schemi organizzativi da attuare e i relativi indicatori;
3.i risultati attesi in termini di miglioramento e innovazione;
4.il ruolo delle rappresentanze dei lavoratori a livello aziendale, se costituite.
L'Agenzia segnala, inoltre, l'opportunità di prendere a riferimento le buone prassi censite a livello europeo da Eurofound sul tema del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, inserendo, tra le azioni partecipative, i “Sop”, schemi organizzativi di innovazione partecipata (vale a dire forme di coinvolgimento diretto dei lavoratori nei processi d'innovazione che richiedono una comunicazione strutturata tra lavoratori e datore di lavoro, come, ad esempio: gruppi di progetto volti a migliorare singole aree produttive, fasi del flusso, prodotti/servizi o sistemi tecnico organizzativi; formazione specialistica e mirata all'innovazione; sistemi di gestione dei suggerimenti dei lavoratori; campagne di comunicazione sugli scopi e lo sviluppo di progetti/programmi di innovazione tramite workshop, focus e seminari interattivi) e i “Pgp”, programmi di gestione partecipata (vale a dire forme di partecipazione diretta dei lavoratori per la gestione delle attività e delle conoscenze produttive, del tempo e del luogo di lavoro che consentono di abbinare flessibilità, risultati aziendali e qualità della vita e del lavoro, come, ad esempio: lavoro in team pianificato, strutturato e formalizzato con assegnazione di obiettivi produttivi e delega parziale al team per la gestione della polivalenza e della rotazione delle mansioni; programmi di gestione della flessibilità spazio-temporale del lavoro in modo condiviso tra azienda e lavoratori grazie a tempi e forme di part time da scegliere sincronizzate con gli orari aziendali, team di autogestione dei turni, banca delle ore, lavoro agile, etc.; comunità di pratiche volte a sviluppare conoscenze operative su base volontaria con strumentazione tecnologica e social network mediante i quali condividere e sviluppare autonomamente i sistemi di conoscenza).
Una nuova partecipazione e un nuovo coinvolgimento paritetico dei lavoratori, per così dire 4.0, pare, dunque, effettivamente possibile, rivelandosi, oltretutto, in linea anche con quanto proposto dall'Accordo Interconfederale del 9 marzo 2018 (cosiddetto “Patto della fabbrica”), il quale, al punto 5 (“Principi per regolare assetti e contenuti della contrattazione collettiva”), lettera G, afferma che il ccnl dovrà favorire lo sviluppo virtuoso, a livello quali-quantitativo, della contrattazione di secondo livello, finalizzando gli accordi al “riconoscimento di trattamenti economici strettamente legati a reali e concordati obiettivi di crescita della produttività aziendale, di qualità, di efficienza, di redditività, di innovazione, valorizzando i processi di digitalizzazione e favorendo forme e modalità di partecipazione delle lavoratrici