Agevolazioni

Dl Lavoro al Senato, doppio scivolone su disabili e badanti

A rischio l’estensione dell’assegno di inclusione e la decontribuzione per le badanti

di Marco Mobili e Claudio Tucci

Per estendere l’Assegno d’inclusione ai componenti svantaggiati inseriti in programmi di cura e assistenza si rimodula la scala di equivalenza, e in particolare il peso della disabilità, che subirà quindi un taglio. È l’effetto, paradossale, di due emendamenti al decreto 1° maggio approvati giovedì in commissione Affari sociali al Senato. Il paradosso potrebbe comportare una riduzione della maggiorazione dell’assegno di disabilità anche oltre il 50%, pari cioè a meno 1.600 euro circa (oggi l’integrazione arriva a 3mila euro). Ma procediamo con ordine.

Con la prima disposizione si interviene sull’articolo 2 del Dl 48 ampliando i beneficiari del nuovo Assegno d’inclusione (chiamato a sostituire il Reddito di cittadinanza). Oltre a nuclei con disabili, minorenni e over60, il sussidio potrà essere erogato anche ai componenti in condizione di grande disagio bio psico sociale inseriti nei programmi di cura e assistenza (certificati dalla Pa). Questa estensione ha però l’ulteriore effetto di modificare la scala di equivalenza per riconoscere il sostegno economico. E qui interviene il secondo emendamento approvato. Da 1 si può incrementare la dote fino a un massimo complessivo di 2,2, o 2,3 in presenza di disabili gravi o non autosufficienti. In dettaglio, l’incremento è dello 0,5 per disabili gravi o non autosufficienti, di 0,4 per ogni altro over60 e in caso di presenza di un componente maggiorenne con carichi di cura. L’aumento è di 0,4 anche per la nuova previsione a vantaggio di componenti in grave disagio bio psico sociale (purché il soggetto sia inserito in programmi di cura e di assistenza certificati dalla Pa). L’incremento resta confermato, come oggi, di 0,15 per ciascun minore di età, fino a due e di 0,10 per ogni ulteriore minore di età oltre il secondo (il parametro della scala di equivalenza è ulteriormente incrementato dello 0,10 per ciascun componente disabile o non autosufficiente nei casi di over60 e di ulteriori figli minori).

L’estensione dell’Assegno di inclusione agli svantaggiati in cura e assistenza, e la conseguente rimodulazione della scala di equivalenza, portano con sé, come detto, due effetti contrapposti (e probabilmente sottovalutati dal governo). Il primo effetto è quello di un aumento della platea dei beneficiari dell’Assegno di inclusione: da quanto si apprende infatti la percentuale delle persone condizione di grave disagio bio psico sociale e inserite in programmi di cura e di assistenza certificati dalla Pa è stimata essere pari all’1% degli adulti non disabili. Il secondo effetto, in un certo senso paradossale, è una diminuzione di costo dovuto alla rimodulazione del peso della disabilità nella scala di equivalenza. Alla fine della fiera, si aumenta il costo dell’Assegno di inclusione di 50/60 milioni, ma sempre di 50/60 milioni si riduce per la rimodulazione del peso della disabilità. Quindi la norma, sotto il punto di vista della copertura finanziaria, è neutra, visto che le somme si compensano. Ma resta l’effetto paradossale che per riconoscere l’Assegno di inclusione anche a un componente in condizione di grave disagio bio psico fisico (tra cui potenzialmente potrebbe rientrare anche chi decide di vivere in strada, come un clochard) si riducono i fondi alla disabilità, rimodulando il suo peso nella nuova scala di equivalenza.

Ma le “imprecisioni” non si fermano qui. Per un altro emendamento, quello che istituisce una decontribuzione triennale per chi assume o stabilizza badanti che assistono anziani non autosufficienti, la “fretta” e la “mancata condivisione” del testo con altri dicasteri ha prodotto una norma in procinto di essere cassata dalla commissione Bilancio la prossima settimana perché non coperta. La norma riguarda il 2023, 2024 e 2025 e prevede un esonero del 100%, entro un limite massimo di 3mila euro, per 36 mesi. Ebbene la disposizione è stata approvata con parere favorevole del ministero del Lavoro, senza tuttavia aver avuto il preventivo necessario vaglio della coerenza delle coperture finanziarie, peraltro a regime, rispetto agli oneri triennali indicati dalla proposta emendativa. Una “leggerezza” che costringerà ora il governo a rimetter mano alla disposizione, pena la tagliola della commissione Bilancio (ex articolo 81 Cost). A meno di ridurre l’esonero a un solo anno, risorse permettendo.

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