Rapporti di lavoro

Dubbi di Assonime sull’incompatibilità dei ruoli di amministratore e di dipendente

Perplessità sulle posizioni di Inps, agenzia delle Entrate e Cassazione. C’è una doppia imposizione dello stesso reddito e il costo del compenso è indeducibile

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di Giorgio Gavelli

Desta perplessità l’orientamento della Cassazione secondo cui, in caso di violazione della compatibilità in capo allo stesso soggetto delle figure di dipendente ed amministratore “qualificato” della medesima società, ne conseguirebbe l’indeducibilità ai fini delle imposte dirette del costo per lavoro dipendente sostenuto dall’ente. In sintesi, è questa l’opinione espressa da Assonime nel documento «Note e Studi» n. 7/2022, diffuso il 10 ottobre scorso. Ma facciamo un passo indietro.

Inps e Cassazione

Da anni l’Inps (circolare 179/1989 e messaggio 3359/2019) e la Corte di cassazione esaminano, ai fini pensionistici, le varie ipotesi di sovrapposizione nella stessa figura del rapporto di lavoro dipendente e dell’incarico di amministratore nella stessa società. Se la compatibilità è certamente esclusa in capo all’amministratore unico (decisioni della Corte 3886/1999, 13009/2003, 19050/2015 e 10909/2019) o, talora, al presidente dell’organo amministrativo, le pronunce della Cassazione confermano a più riprese che non esiste una incumulabilità assoluta tra amministratore e dipendente.

La situazione non origina problemi a condizione che «sia accertata, in base ad una prova di cui è necessariamente onerata la parte che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato, l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale e il vincolo di subordinazione, ossia l’assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società» (pronunce 11161/2021, 9273/2019, 24972/2013 e 19596/2016). In sostanza, per il dipendente che sia solo uno dei membri del consiglio di amministrazione della società, la duplicazione dei ruoli (mandato gestorio e rapporto di lavoro dipendente) e, dunque, la coesistenza della carica di amministratore societario con la qualifica di lavoratore dipendente restano astrattamente possibili, pur dovendosi verificare in concreto che tale duplicazione dei ruoli sia effettiva.

Ciò si verifica quando sussistono tutte e tre i seguenti requisiti:

1. l’affidamento del potere deliberativo rivolto a formare la volontà dell’ente all’organo collegiale di amministrazione della società nel suo complesso e/o a un altro organo sociale;

2. la sussistenza di un effettivo vincolo di subordinazione (anche, eventualmente, nella forma attenuata del lavoro dirigenziale) e dunque la sottoposizione del soggetto interessato – quale dipendente e nonostante la sua carica – all’effettivo potere di supremazia gerarchica di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell’organismo sociale cui appartiene;

3. l’effettiva differenziazione delle mansioni esercitate in qualità di dipendente dall’attività svolta in virtù del mandato gestorio.

L’orientamento delle Entrate

In tempi recenti il tema ha assunto una connotazione anche fiscale: l’agenzia delle Entrate ha eccepito – nelle situazioni di presunta incompatibilità – l’indeducibilità in capo all’ente del compenso erogato a titolo di lavoro dipendente. La Cassazione (pronunce 2487/2022, 38017/2021, 36362/2021 e 10308/2021) ha seguito questo orientamento sostenendo che, laddove sia censurabile la regolarità del rapporto di lavoro dipendente, possa essere riqualificata la retribuzione erogata quale compenso aggiuntivo all’amministratore, percepito in violazione dell’articolo 2389 del Codice civile e, di conseguenza, non deducibile ai fini Ires.

La nota Assonime

La conclusione non convince Assonime, per un doppio ordine di motivi.

1. In primo luogo, si determina una doppia imposizione del medesimo reddito tanto in capo alla società quanto in capo all’amministratore/dipendente.

2. In secondo luogo, il costo presenta comunque tutti i caratteri di certezza, oggettività, inerenza eccetera prescritti dalle norme del Tuir per la sua deducibilità (incluso l’intervenuto pagamento quale compenso amministratore, ai sensi dell’articolo 95, comma 5), anche leggendo a contrario il comma 4-bis dell’articolo 14 della legge 537/1993 sulla indeducibilità dei costi “da reato”. Infatti, la presunta violazione di una norma civilistica non ha, come conseguenza diretta, l’indeducibilità fiscale, aspetto che viaggia su un binario di regole assai differente.

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