Eni mette al centro la genitorialità
La colonia Agip di Cesenatico fu costruita in pieno regime fascista e l’edificio severo che si affaccia sull’Adriatico, se nella facciata esprime il razionalismo dell’architettura di quegli anni, all’interno racchiude il vociare di molte migliaia di bambini, figli dei dipendenti Eni, che ne hanno animato e ne animano le sale, estate dopo estate. Oggi, ogni stagione, se ne contano 1.500 tra i 6 e 14 anni a cui si aggiungono i quasi 200 ragazzi tra i 15 e i 16 anni che frequentano i summer camp che coniugano corsi linguistici e mare. Bambini e ragazzi arrivano da tutto il mondo perché la frequenza è aperta ai figli di tutti i 33.500 collaboratori di Eni nel mondo, consociate incluse. La genitorialità, come dimostra anche il Protocollo welfare siglato con i sindacati il 4 luglio, è un tema molto caro al gruppo, al punto che sono stati estesi fino a 10 giorni i permessi per i neopapà che lavorano per il gruppo in tutto il mondo ed è stato avviato anche un progetto sullo smart working a cui, in fase di sperimentazione, hanno già aderito 220 persone.
Ma i bisogni, anno dopo anno, sono cambiati, anche per via dell’allungamento della vita che rende la genitorialità un tema che riguarda sia i lavoratori che diventano padri e madri e hanno figli piccoli, sia i lavoratori che sono figli di genitori anziani. All’Eni si stanno preoccupando anche di loro, come spiega Claudio Granata, chief services and stakeholder relations officer del cane a sei zampe. «In periodi diversi da quelli in cui vi soggiornano i bambini, abbiamo pensato di offrire la struttura di Cesenatico ai colleghi con genitori anziani o familiari che non hanno autosufficienza. C’è molto riserbo su questi temi ma visto che a poco a poco stanno emergendo, con il sindacato ci stiamo lavorando. Con questa iniziativa vogliamo andare incontro alle esigenze dei colleghi che rischiano di non veder cominciare mai le vacanze».
Anche questo, forse soprattutto questo, è il welfare Eni. Per raccontarlo, Granata, che ci accoglie in una sala del quartier generale di San Donato Milanese dove il panorama è inconfondibilmente segnato dalle palazzine Eni, spiega che bisogna voltarsi indietro perché, al di là degli accordi di questi ultimi anni - e mesi, l’ultimo, il Protocollo welfare risale al 4 luglio - c’è una storia. Salta qualche tappa, Granata, per arrivare al primo momento importante, gli anni ’70. «È stato allora che Eni e i sindacati hanno costruito, costituito e realizzato la previdenza complementare», dice il manager. Vent’anni dopo, nel 1996, l’intero comparto ha identificato la previdenza complementare come un bisogno ed è nato il Fondo energia, operativo dal 1998. Quanto investe Eni nella previdenza complementare? «Nel Fondo energia investiamo il 2,5% circa per ogni lavoratore. Alla nostra quota si affianca il contributo del dipendente che in media è intorno all’1,7% - dice -. L’ultimo contratto ha previsto un innalzamento della quota aziendale senza che vi fosse un ritocco per quella dei lavoratori». Conviene? I numeri dicono di sì. Granata spiega che «nell’ultimo anno il rendimento del Fondo energia è stato tra lo 0,37%, il più garantito, a quello più dinamico che è il 2,49%. In Eni le persone sono molto interessate e gli iscritti sono oltre 19.500». Mancano all’appello meno di 2mila dipendenti, visto che in Italia il gruppo ha 21.500 addetti che possono contare su molti strumenti con una valenza sociale forte, senz’altro più forte della voucheristica. Gli anni ’70 sono stati anche quelli del Fondo integrativo sanitario, il Fis. «Un’idea che, ancora una volta, si è integrata in un’entità di comparto, il Fasie, nato nel 2007. Si arriva così al Fasen, il Fondo attività servizi sociali per i lavoratori del settore energia Eni che, tra gli altri servizi eroga a coloro che ne hanno bisogno, ma non hanno la possibilità di chiedere alle banche, prestiti e finanziamenti in emergenza fino a un ammontare tra i 15 e i 20mila euro», racconta Granata.
Sono molti i tasselli che anno dopo anno sono stati messi insieme per costruire il welfare di Eni e che, nonostante la necessità di tagliare i costi non sono stati toccati. Anzi c’è un capitolo, quello della sanità integrativa, che come emerge chiaramente dal protocollo del 4 luglio, è stato fortemente rafforzato. «Il motivo - continua Granata - sta nel plafond che ormai appariva datato. Al fondo per la sanità integrativa, a cui sono iscritti circa 16mila colleghi, il gruppo versava circa 4 milioni di euro fino al 2016 e dato che i rimborsi risultavano ormai troppo bassi abbiamo deciso di investire altri 10 milioni all’anno, in modo da portare la nostra quota da 4 a 14 milioni come segno di attenzione verso le nostre persone e per consentire loro di poter avere un rimborso delle prestazioni molto più alto. Così se in passato per gli occhiali da vista si aveva un rimborso fino a 30-40 euro, ritengo ora si possa arrivare a 150». Dietro l’innalzamento della quota c’è anche un risvolto solidaristico perché dei 10 milioni, 5 arrivano dal budget dei dirigenti che sono stati tutti concordi su questa redistribuzione delle risorse.
Se il volume delle iniziative aumenta, aumenta anche il costo per l’azienda. Granata però ci tiene a parlare «di investimento, perché quello sul welfare noi lo consideriamo un investimento: fino al 2016 era di circa 77 milioni di euro, dal 2017 sarà di 87 grazie agli ulteriori 10 milioni aggiunti sulla sanità integrativa», spiega il manager. Il protocollo del 4 luglio è stato un ulteriore passaggio per rafforzare gli istituti aziendali, grazie anche alla normativa sui premi di produttività che prevede sgravi nel caso in cui il dipendente scelga l’opzione welfare per una quota fino al 50% del premio di risultato. «Hanno aderito a questa opzione circa il 16% dei colleghi - dice Granata - e, considerata la cautela con cui si affermano i nuovi istituti è un risultato molto importante, destinato a crescere visto l’interesse testimoniato, anche, dagli oltre 19mila accessi al sito web dove viene spiegato il protocollo welfare».