Previdenza

Grande distribuzione, troppe ombre su quota 100 e «reddito»

di Cristina Casadei

Possibilisti sempre perché, dice Francesco Quattrone, direttore area lavoro di Federdistribuzione, chi si occupa di risorse umane, perennemente alle prese con i conti che non tornano, deve sempre cercare di capire le “opportunità”. Anche quelle offerte dalla legge. In questo essere possibilisti, però, coloro che gestiscono le risorse umane delle grandi imprese del commercio (da Esselunga, Auchan, Carrefour fino ad arrivare a Brico, Rinascente, Coin) dicono che, così come è, «la normativa che riguarda Quota 100 e il reddito di cittadinanza ha troppi vincoli per poter essere sfruttata appieno e il rischio è che le idee, al momento della loro applicazione pratica, rimangano confinate alla carta più che ai fatti», sintetizza Quattrone. Altrimenti detto, le grandi imprese del commercio, molte a capitale italiano ma molte anche multinazionali, allo stato attuale, temono di non poter salire sul carro di Quota 100 e reddito di cittadinanza.

Si tratta di due misure che «potrebbero essere interessanti per le nostre imprese. Come Federazione abbiamo quindi pensato che fosse opportuno approfondire la materia, soprattutto perché sono le aziende a chiedercelo», spiega Quattrone. Le imprese di Federdistribuzione, mediamente, ogni anno hanno una capacità di assunzione di circa 18mila addetti, soprattutto per effetto del turn over, ovvero delle uscite di lavoratori verso la pensione e dell’ingresso di altri lavoratori per sostituirli. Per un settore come questo, tanto quota 100, quanto il reddito di cittadinanza, al di là delle valutazioni politiche che se ne possono dare, potrebbero essere due strumenti utili. Ma «abbiamo bisogno di chiarezza e stabilità normativa - dicono le imprese -. Da questo punto di vista al Governo si deve chiedere uno sforzo ulteriore perché le norme vengano precisate. Non aiuta, certamente, il continuo rinvio a ulteriori regolamenti e provvedimenti attuativi».

Ancora qualche numero sulle grandi imprese della distribuzione moderna e organizzata perché si tratta di imprese che hanno una quota di circa il 90% di lavoratori a tempo indeterminato, con percorsi di carriera definiti che determinano un tempo di permanenza in azienda elevato. Il risultato è che si è affacciato il tema dell’ageing, soprattutto perché, come spiegano da Federdistribuzione, gli over 50 sono più che raddoppiati negli ultimi dieci anni e sono passati dal 9 al 20% della popolazione aziendale. Nelle aziende che hanno iniziato il loro sviluppo negli anni ’70-’80 c’è quindi una fascia importante di lavoratori che ogni anno si avviano verso la pensione. Mentre le dinamiche del mercato e l’avvento della tecnologia pongono il tema della formazione e della professionalità, allo stesso tempo l’età pone il tema dell’uscita dal mercato del lavoro. Le grandi aziende, però, dovendo gestire grandi numeri tendono sempre muoversi con un certo anticipo soprattutto se ci sono da fronteggiare le novità di due strumenti, come Quota 100 e Reddito di cittadinanza.

L’elenco delle richieste di chiarimento delle imprese, che Federdistribuzione ha cercato di sciogliere in un seminario che si è svolto ieri, è lungo e riguarda soprattutto il ricorso ai fondi di solidarietà, agli enti bilaterali e all’uso dei premi di produttività per coprire periodi contributivi non versati dai lavoratori. E poi ancora, le imprese stanno cercando di estrapolare il versante politiche attive del reddito di cittadinanza. Gli incentivi che sono stati previsti per le assunzioni prevedono un incremento occupazionale netto, calcolato con solo riferimento ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato. E questo è un altro tema, allo stesso modo in cui lo è il fatto che secondo le regole comunitarie, ai fini della compatibilità con la normativa in materia di aiuti di Stato, l’incentivo soggiace al rispetto del regolamento sugli aiuti de minimis. «Il rischio - dice Quattrone - è che le grandi imprese che abbiano già usufruito di altri fondi si ritrovino escluse da benefici e incentivi». Allo stesso modo, la previsione di passare dai centri per l’impiego lascia nelle imprese una certa perplessità. «Oggi - dice Quattrone - le nostre imprese non passano dai centri per l’impiego perché in passato non hanno trovato in questi enti la performance che si aspettavano e hanno quindi ripiegato per altri metodi, ossia la selezione diretta oppure il ricorso alle agenzie del lavoro o di ricerca e selezione. Se è giusto che a livello di sistema si cerchi di restituire un ruolo ai centri per l’impiego, pensare che in tempi ragionevolmente brevi questi possano diventare quello che non sono mai stato, non è realistico».

Ultimo tassello da incastrare. L’ultimo contratto collettivo nazionale di lavoro siglato da Federdistribuzione e dai sindacati (Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil) ha previsto di creare un ente bilaterale nazionale nuovo, la cui storia è tutta da scrivere ma nello spirito dovrà incrociare temi come l’impiegabilità delle persone e le politiche attive. «Siamo in un momento di grande fermento normativo, dal Jobs act in poi le aziende hanno visto il susseguirsi di una lunga serie di provvedimenti che devono poi essere collocati all’interno di una strategia di gestione del lavoro e delle persone, in un momento in cui si constata uno stallo nei consumi - dice Quattrone -. Gli investitori stranieri, soprattutto, chiedono certezze: se ogni imprenditore deve infatti cercare di rendere sostenibile l’azienda dal punto di vista dei costi, lo è anche che deve assicurare una strategia di gestione nel lungo periodo».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©