Il 20% dei giovani dopo cinque anni di lavoro è ancora precario
In tre anni il numero di persone in età da lavoro è diminuito di 800mila unità
Di giovani il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha parlato molto durante la sua relazione; e ha mandato tre messaggi piuttosto chiari a istituzioni e politica. Il primo è che l’ingresso nel mondo del lavoro dei ragazzi è ancora complicato e caratterizzato da forme contrattuali precarie. Se è vero, infatti, che la ripresa del lavoro nel 2021 e nel 2022 è stata spinta soprattutto dalla trasformazione dei contratti precari in permanenti, è purtroppo, altrettanto vero che il lavoro a termine, per i giovani, si associa spesso «a condizioni di precarietà molto prolungate», ha detto Visco, ricordando come la quota di ragazzi che dopo cinque anni ancora si trova in condizioni di impiego a tempo determinato «resta prossima al 20 per cento». A ciò si aggiunga, come emerge dalle statistiche internazionali, che un giovane in Italia entra a contatto con il mondo del lavoro a 26/27 anni contro i 21/22 anni dei giovani dei paesi principali nostri competitor (come la Germania, forte di un sistema strutturato di formazione duale).
Il secondo messaggio di Visco è il richiamo all’andamento demografico e all’invecchiamento della forza lavoro. In soli tre anni, dal 2019 il numero di persone definite (convenzionalmente) in età da lavoro (tra i 15 e i 64 anni) è diminuito di quasi 800mila unità. Secondo le proiezioni Istat, nello scenario centrale entro il 2040 la popolazione residente si dovrebbe ridurre di 2,5 milioni di persone; quella tra i 15 e i 64 anni di oltre sei. Quindi la spinta al lavoro è ancora oggi, come negli ultimi dieci/venti anni, legata agli over 50. Certo, ha ricordato Visco, il tasso di attività dei più giovani è tornato sui livelli precedenti la pandemia. Eppure la partecipazione tra i 15 e 34 anni è comunque lontana dai livelli antecedenti la recessione del 2008 (anche per effetto dell’aumento della scolarità). Il punto è che abbiamo un numero record di Neet (giovani che non studiano e non lavorano). Secondo i dati Eurostat, nel 2022 erano il 20,8 per cento delle persone tra 15 e 34 anni, contro una media del 12,8 nell’area dell’euro. Pure qui pertanto occorre cambiare passo.
Anche con un maggior collegamento scuola-lavoro, e con un orientamento migliore, in primis a vantaggio delle ragazze. E veniamo al terzo messaggio di Visco sui giovani. In Italia alle superiori le studentesse sono sovrarappresentate (quasi il 70% degli alunni nei licei classici) mentre rappresentano una quota minoritaria negli indirizzi scientifici e tecnici (46% licei scientifici, 15% negli istituti tecnici a indirizzo tecnologico). E proprio ora che abbiamo bisogno di capitale umano qualificato (per affrontare le rivoluzioni in atto) abbiamo inoltre pochi laureati. La quota dei “dottori” tra i 25 e i 34 anni è ancora inferiore al 30 per cento, contro una media Ue superiore al 40%. Un campanello d’allarme con un tasso di posti vacanti in aumento e un mismatch che ormai interessa quasi un’assunzione su due.