Rapporti di lavoro

Il datore forfettario non versa le tasse per il dipendente

di Giuseppe Maccarone e Alessandro Mengozzi

La legge di bilancio 2019 (la 145/2018) ha modificato la legge 190/2014 intervenendo sulle disposizioni che regolamentano il regime contabile forfettario. Ora si prevede che i contribuenti - persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni - che nell’anno precedente hanno conseguito ricavi/compensi non superiori a 65.000 euro, rientrino automaticamente nel regime forfettario.

La nuova disciplina presenta una sostanziale differenza rispetto al regime in vigore sino al 2018, poiché non prevede più, come causa di esclusione dal regime, l’aver sostenuto spese per un ammontare complessivamente superiore a 5.000 euro lordi per lavoro accessorio, per lavoratori dipendenti e collaboratori. Il venir meno di tale limitazione amplifica la portata della disposizione, potendo giungere sino al coinvolgimento di datori di lavoro.

In tale ottica, assume particolare rilievo quanto disposto dall’articolo 1, comma 69, della legge 190/2014 nella parte in cui afferma che i soggetti a cui si applica il regime fiscale forfettario non sono tenuti a operare le ritenute alla fonte (Dpr 600/1973, titolo III). Essi devono solo indicare nella loro dichiarazione dei redditi (nel quadro RS del modello redditi vi è una sezione dedicata), il codice fiscale del percettore dei compensi che - all’atto del pagamento – non sono stati assoggettati a ritenuta fiscale.

Le ricadute, in ambito lavoristico, sono molteplici. Emerge su tutte la necessità di prevedere una busta paga che sia adeguata alla nuova “tipologia” di datore di lavoro forfettario. Il cedolino (in teoria già quello di gennaio 2019) dovrà essere emesso con la sola indicazione della retribuzione lorda, dell’imponibile e delle ritenute previdenziali. Resta il fatto che per il dipendente si tratta pur sempre di reddito di lavoro dipendente da dichiarare e da tassare; operazione che il lavoratore dovrà eseguire autonomamente, presentando il 730 o il modello Unico.

Altro aspetto riguarda la dichiarazione da rilasciare al lavoratore con i dati del reddito corrisposto ancorché non tassato. Non essendo tenuto a operare e versare le ritenute, il datore di lavoro non dovrebbe rilasciare la certificazione unica parte fiscale, anche se, su questo aspetto, l’agenzia delle Entrate il prossimo anno potrebbe integrare le istruzioni della certificazione obbligando al rilascio pure chi si trova nella situazione descritta.

Una perplessità, tuttavia, resta riguardo ai rapporti di lavoro che si concludono in corso d’anno, vista la possibilità offerta al dipendente di chiedere l’emissione della Cu al datore che è obbligato a rilasciarla nei dodici giorni successivi (obbligo che sembra essere venuto meno). Se questo verrà confermato, di fatto, la tassazione definitiva del lavoratore subirà un rinvio al 2020 con conseguente slittamento sia dell’integrale pagamento del saldo Irpef per il 2019, sia del correlato acconto per il 2020.

Altro dubbio attiene alle addizionali del 2018 che vengono versate a rate nel 2019. Si dovrà chiarire se per questo aspetto il datore di lavoro forfettario resta – se pure temporaneamente - sostituto di imposta tenuto alla continuazione del prelievo.

Infine, ricordiamo l’esenzione dalla presentazione della dichiarazione dei redditi nei confronti di coloro che hanno percepito solo reddito di lavoro dipendente corrisposto da un unico sostituto d’imposta obbligato a effettuare le ritenute d’acconto. Poiché l’obbligo di effettuazione delle ritenute (da parte del datore di lavoro in regime forfettario) non esiste più, sembra decadere l’esenzione, rendendo quindi il lavoratore obbligato alla presentazione della dichiarazione dei redditi.

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