EditorialeContrattazione

Il dumping contrattuale nel terziario e il rinnovo del CCNL pulizie e multiservizi

di Michele Tiraboschi

N. 25

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Nel terziario di mercato si concentrano i maggiori fenomeni di dumping contrattuale

Tra gli osservatori delle dinamiche contrattuali il contratto collettivo nazionale della categoria pulizia, servizi integrati / multiservizi occupa da tempo una posizione centrale. Non soltanto per i numeri, visto che è applicato a oltre 10mila imprese e 400mila lavoratori (rilevazioni INPS-Uniemens, archivio contratti CNEL), ma per la funzione che ha finito per svolgere in un sistema di regolazione del lavoro dove, accanto ai contratti di settore storici, si è andata diffondendo una miriade di contratti collettivi caratterizzati da minori tutele retributive e normative sottoscritti da sigle di dubbia rappresentatività. La ragione è presto detta: la firma di contratti collettivi, a prescindere dalla loro effettiva applicazione tra imprese e lavoratori, è diventata requisito di rappresentatività a seguito di una circolare del Ministero del lavoro, la numero 14 del 1995, a cui ha fatto seguito l'incremento esponenziale dei contratti nazionali depositati al CNEL.

In questo panorama, il contratto collettivo pulizia, servizi integrati / multiservizi si distingue per una peculiarità che è anche una anomalia: la sua sfera di applicazione (cioè la categoria contrattuale) è trasversale a diversi settori il che lo rende oggetto d'uso — e talvolta abuso — per regolare servizi e tipologie di attività già disciplinati da specifici contratti nazionali di settore. È anche per questo motivo che l'ultimo rinnovo del 13 giugno 2025, sottoscritto da Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltrasporti e dalle principali associazioni cooperative e datoriali del comparto (Legacoop, Confcooperative, Agci, Unionservizi Confapi) con l'esclusione della Confindustria, merita particolare attenzione. Il rinnovo introduce infatti un impegno preciso: ridefinire e restringere la sfera di applicazione del contratto per ridurre i margini di utilizzo distorto, individuando puntualmente le attività effettivamente riconducibili al perimetro dei servizi di pulizia e multiservizi.

Si tratta di un passo importante — e raro — di responsabilità degli attori del sistema contrattuale, perché è da qui che può passare una strategia credibile del sindacato confederale (Cgil, Cisl, Uil) contro la proliferazione di contratti "pirata", cioè contratti a tutele inferiori. Contratti che spesso diventano veri e propri "corsari", perchè legittimati da meccanismi politici di accreditamento, e che alimentano una concorrenza sleale che danneggia lavoratori, imprese e la stessa tenuta del sistema contrattuale.

È del resto in questo ambito di azione che il sindacato confederale può (ri)trovare parte delle ragioni dell'unità sindacale, oltre le divisioni, per contrastare l'indebolimento della funzione storica del sindacato e della bilateralità. Ciò anche in ragione del fatto che la Costituzione non tutela il sindacato in sé ma in quanto strumento di effettività della voce e dell'interesse collettivo dei lavoratori.

La questione è particolarmente più urgente se si guarda al terziario di mercato dove si concentrano i maggiori fenomeni di dumping contrattuale. Un settore apparentemente disorganico, ma in realtà centrale per l'economia nazionale: commercio, turismo, vigilanza, servizi tecnici, estetici, sportivi — insieme ad altri comparti, come i servizi finanziari, socio-educativi, pubblici — arrivano a rappresentare almeno 11 milioni di lavoratori, il 46,7% del valore aggiunto nazionale e oltre un terzo della produzione. Eppure è proprio qui che si registrano i livelli più alti di contrattazione collettiva pirata: oltre 250 contratti nazionali formalmente in vigore nel solo terziario (su 1000 complessivi), ma appena 37 di questi superano l'1% di copertura reale della forza lavoro del settore. Gli altri sono quasi del tutto privi di applicazione effettiva, ma mantengono una loro funzione: ottenere un codice di registrazione pubblico (il codice contratto, utilizzato come vero e proprio "bollino pubblico") che consente a soggetti scarsamente rappresentativi di accedere al mercato parallelo dei servizi (sicurezza, formazione, welfare) mediante enti bilaterali e organismi contrattuali riconosciuti. Una rendita istituzionale più che una reale funzione negoziale.

Sul punto, una recente ricerca di ADAPT ("Fare contrattazione nel terziario di mercato", 2025), dimostra non solo la sovrabbondanza di contratti, ma anche il divario salariale e contributivo che ne deriva. Dei 37 contratti realmente applicati nel settore, solo 18 sono sottoscritti da CGIL, CISL e UIL, ma coprono il 96% dei lavoratori. I rimanenti 19 generano differenziali retributivi che possono oscillare tra i 3.000 e gli 8.000 euro annui lordi a seconda della figura professionale, e una perdita di contribuzione previdenziale che in alcuni casi supera i 1.500 euro annui. Il macellaio specializzato passa da una retribuzione attesa di 27.800 euro a poco più di 22.000 euro annui lordi. Per un magazziniere, la perdita può arrivare a quasi 8.000 euro l'anno; per un salumiere, circa 5.000 euro. Il danno è duplice: tanto economico, quanto sociale. Perché oltre a retribuzioni più basse - che di conseguenza impoveriscono anche i trattamenti previdenziali - questi contratti offrono minori tutele in termini di malattia, maternità, ferie, maggiorazioni. Il risultato è un indebolimento delle tutele costituzionali del lavoro in una Repubblica che pure afferma di essere fondata su di esso.

In assenza di una legge sulla rappresentanza, è evidente che il rinnovato protagonismo delle parti sociali - come nel caso del CCNL pulizia, servizi integrati / multiservizi - può rappresentare un argine concreto contro prassi antisistema. Ma serve anche una politica del lavoro che riconosca e sostenga la contrattazione collettiva fondata sulla rappresentatività effettiva degli interessi dei lavoratori e non sulla mera registrazione formale di un testo contrattual magari scritto in qualche studio professionale e non esito di una vera trattativa tra attori contrapposti. In gioco non c'è solo la tutela del lavoro ma la stessa coesione del nostro sistema sociale a partire dalla qualità e produttività del lavoro.

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