Rapporti di lavoro

Il modello organizzativo per prevenire i reati legati alla sicurezza

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di Mario Gallo

Nel corso degli ultimi anni si sente sempre più frequentemente parlare di responsabilità amministrativa delle imprese e degli enti in genere e della necessità di adottare degli specifici modelli organizzativi e di gestione per evitarla; introdotta nel nostro ordinamento dal decreto legislativo 231/2001, trova la propria genesi nell'esigenza di contrastare la criminalità economica e finanziaria ma a partire dal 2007 è stata estesa anche ad alcuni reati “presupposto” in materia antinfortunistica (omicidio colposo o lesioni colpose gravi o gravissime di cui agli artt. 589-590, 3° comma, c.p.) commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro (art. 300 D.Lgs. n. 81/2008), con la previsione di sanzioni di natura pecuniaria e di carattere interdittivo, che vanno ad aggiungersi alla responsabilità personale delle persone fisiche coinvolte.
Lo stesso D.Lgs. n. 231/2001 prevede tuttavia che l'ente è esonerato da tale responsabilità qualora sia in grado di dimostrare l'adozione di misure idonee a prevenire la commissione degli illeciti, tra le quali appunto l'adozione ed efficace attuazione di modelli di organizzazione e di gestione della sicurezza.
Si tratta, quindi, di un'esimente basata su questi due requisiti fondamentali che, invero, solo grazie alla produzione giurisprudenziale stanno trovando una più puntuale definizione; e proprio in relazione a tali difficoltà il legislatore dopo, come detto, aver esteso con la legge n. 123/2007, tale regime anche ai reati in materia di sicurezza molto opportunamente ha introdotto all'art. 30 del D.Lgs n.81/2008, una disciplina particolare di tale esimente che, invero, pone diverse difficoltà legate a un non perfetto coordinamento tra i due apparati normativi.
In tal senso sono diverse le criticità che emergono tra cui l'obbligatorietà o meno di adottare tali modelli, la corretta strutturazione degli stessi nonché la nomina dell'organo di vigilanza e la valenza che hanno in tale ambito le diverse linee guida tra le quali quelle emanate da CONFINDUSTRIA; a tutto ciò si aggiunge anche il nuovo istituto dell'asseverazione previsto dall'art. 51 del D.Lgs. n.81/2008, che ha un carattere ancora sperimentale e che lentamente sta decollando solo per il settore dell'edilizia, di cui spesso si discute circa il suo rapporto con la certificazione BS OHSAS 18001: 2007 dei sistemi di gestione in materia di sicurezza sul lavoro.


Obbligatorietà dell'adozione dei modelli organizzativi
Esaminando questi diversi profili problematici per quanto riguarda l'obbligatorietà o meno dell'adozione di tali modelli organizzativi è necessario osservare che, in effetti, il legislatore ha mantenuto il principio della volontarietà dell'adozione degli stessi ma occorre considerare anche che il meccanismo esimente della responsabilità “amministrativa” dell'ente così com'è congegnato comporta l'indispensabilità delle loro adozione in virtù del concetto di colpa organizzativa che deriva, in tali casi, proprio dall'omissione organizzativa e gestionale (cfr. Cass. pen. n. 36083/2009).
La mancata adozione e l'efficace attuazione del modello di organizzazione e di gestione determina, come detto, gravi conseguenze sul piano sanzionatorio e operativo commerciale il cui impatto può rivelarsi ancora più significativo specie quando l'impresa agisce nell'ambito degli appalti pubblici e per i quali, per altro, il D.Lgs. n. 163/2006 e il relativo regolamento D.P.R. n.207/2010, prevedono un regime più rigoroso per la verifica dell'idoneità tecnico-professionale delle imprese partecipanti alle gare ((Trib. Milano n. 1774 del 13 febbraio 2008).
Inoltre, non va nemmeno dimenticato che per espressa previsione normativa (cfr. art. 16, 30, c.1, 18, c.3-ter, D.Lgs. n.81/2008) mediante tali modelli organizzativi si realizza anche un sistema di vigilanza su tutte le figure della prevenzione sia interne (dirigenti, preposti, lavoratori, medico competente, ecc.) che esterne (progettisti, installatori, ecc.) all'azienda, oltre che del delegante sul delegato.


Strutturazione ed effettività dei modelli organizzativi ai fini della sicurezza sul lavoro
Per quanto invece riguarda la strutturazione di tali modelli l'art. 30 D.Lgs. n. 81/2008 ha introdotto un regime particolare che da un lato ha tabellato, in sede di prima applicazione dello stesso, tre sistemi di gestione – quelli definiti in base alle Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001, al British Standard OHSAS 18001:2007, e da ultimo secondo le procedure semplificate previste dal D.M. Lavoro 13.2.2014 – e dall'altro ha introdotto il principio in base al quale lo specifico modello aziendale ha un valore esimente se integrato con i requisiti speciali previsti dai commi da 1 a 4 dello stesso articolo, ossia le c.d. “parti corrispondenti” che fanno riferimento al dimensionamento del sistema; l'idoneità dello stesso ai fini dell'adempimento di tutti gli obblighi giuridici in materia di sicurezza del lavoro; la registrazione; l'esistenza di un sistema disciplinare, la definizione dell'organigramma, ecc.
Inoltre, come recentemente ribadito nel ben noto caso “Thyssen”, non è sufficiente solo l'adozione del modello conforme a tali requisiti ma è necessario che lo stesso sia vivente, ossia efficacemente attuato all'interno dell'azienda in modo trasparente da parte dell'alta direzione e diffuso a tutti i livelli della scala gerarchica (Cass. pen. Sez. Unite, 18 settembre 2014, n. 38343); pertanto, attraverso tale regime il legislatore ha offerto al datore di lavoro e quindi agli enti una fondamentale sponda tecnica – organizzativa “per contenere l'operare dei più moderni e sofisticati ingranaggi della responsabilità giuridica”.

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