Iperammortamento, esclusi dal bonus i grandi investimenti
È un restyling puntuale ma importante quello che la legge di Bilancio 2019 (la legge 145) attua sull’iperammortamento, misura che viene prorogata agli investimenti in beni materiali strumentali nuovi effettuati, anche in leasing, entro il 31 dicembre 2019, ovvero entro il 31 dicembre 2020, a condizione che entro il 31 dicembre 2019 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20% del costo di acquisizione. Come in passato, questi termini andranno coordinati con quelli previgenti che, a particolari condizioni, permettono di acquisire ancora per tutto il 2019 beni iperammortizzabili applicando le regole in vigore nel 2018, non cumulabili con le nuove (si veda l’altro articolo). Riprendendo quanto già stabilito dall’articolo 7 del decreto Dignità 87/2018 per gli investimenti effettuati dal 14 luglio scorso, i beni agevolati devono essere destinati a strutture produttive situate nel territorio dello Stato (superata sul punto la circolare 4/E/2017).
La modifica principale riguarda l’inserimento di un meccanismo basato su aliquote a scaglioni, che rimodula il bonus in misura decrescente all’aumentare dell’importo investito. Infatti, la maggiorazione del costo di acquisizione degli investimenti (nel 2018 pari al 150% per ogni acquisto agevolato) si applica nella misura:
• del 170% per gli investimenti fino a 2,5 milioni;
• del 100% per gli investimenti oltre 2,5 milioni e fino a 10 milioni;
• del 50% per gli investimenti oltre 10 milioni e fino a 20 milioni.
Nessuna maggiorazione del costo scatta sulla parte di investimenti complessivi eccedente il limite di 20 milioni, nei confronti della quale l’impresa fruirà del solo ammortamento deducibile in base all’articolo 102 del Tuir.
La stesura del testo normativo porta a favorire una lettura “per scaglioni” del meccanismo di calcolo, in luogo di quello che sarebbe stato un sistema più semplice ma anche più penalizzante per i grandi investimenti. In presenza di un investimento complessivo di 15 milioni, si sarebbe potuto applicare, sull’intero costo, una maggiorazione ai fini dell’ammortamento del 50% (percentuale corrispondente allo scaglione tra 10 e 20 milioni). L’interpretazione più aderente al testo, tuttavia, sembra quella che attribuisce ad ogni scaglione di importo investito la sua maggiorazione, per cui, nell’ipotesi dei 15 milioni, si avrà:
• una maggiorazione del 170% sui primi 2,5 milioni;
• una maggiorazione del 100% su altri 7,5 milioni di costo;
• una maggiorazione del 50% sui 5 milioni di costo residui.
Rispetto al passato si tratta di una complicazione di non poco rilievo, anche perché la disposizione “ragiona” a livello complessivo ma l’investimento totale annuo può ben essere determinato dalla somma di molte spese minori su beni ad aliquota di ammortamento differente, le quali andranno “spalmate” (secondo criteri ancora da definire) per comporre gli scaglioni corrispondenti alle differenti aliquote di maggiorazione. Si potrebbe pensare a un criterio temporale in relazione all’effettuazione dell’investimento, come pure alla determinazione di una aliquota media complessiva da applicare su tutto lo stock di investimento agevolato.
Per quanto non espressamente modificato, resta invariata la disciplina già in essere, con particolare riguardo ai beni ammessi (di cui all’allegato “A” della legge 232/2016), a quelli esclusi (beni usati, immateriali, con coefficienti di ammortamento inferiori al 6,5%, fabbricati, costruzioni, beni di cui all’allegato 3 della legge 208/2015) ed alle condizioni aggiuntive richieste (interconnessione, dichiarazione qualificata del legale rappresentante o, per i beni di costo superiore a 500mila euro, perizia giurata o attestato di conformità eccetera).
Scatta anche un vincolo alla determinazione degli acconti: quelli relativi al 2019 e al periodo d’imposta successivo andranno determinati considerando una “base storica” priva dell’agevolazione in esame.