Jobs act, l’Avvocatura contro i quesiti
Il referendum promosso dalla Cgil per estendere la tutela reale, in caso di licenziamento dichiarato illegittimo, a tutti i datori di lavoro che occupano più di cinque dipendenti «si palesa inammissibile» perché lo specifico quesito «non si propone semplicemente di abrogare in tutto o in parte l’articolo 18, come riformulato dalla legge Fornero e dal Jobs act», ma, «in virtù di un intervento manipolativo», delinea una disciplina del licenziamento ingiustificato «completamente nuova e diversa rispetto a quella esistente prima delle suddette riforme del 2012 e del 2015».
L’Avvocatura generale dello Stato, che rappresenta il Governo nel giudizio dinnanzi alla Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi il prossimo 11 gennaio sulla legittimità dei tre referendum sul lavoro presentati dal sindacato guidato da Susanna Camusso, ha ufficializzato ieri le proprie memorie difensive: il quesito sull’articolo 18 «non è meramente abrogativo, come previsto dalla Costituzione - scrive il Foro erariale (le tre note sono firmate dal giurista Vincenzo Nunziata) -. Piuttosto ha carattere surrettiziamente propositivo», e per questo motivo non può essere ammesso.
Il perché è presto detto: l’abrogazione del pacchetto di norme invocata dalla Cgil, se passasse, avrebbe l’effetto di estendere il rimedio della reintegrazione nel posto di lavoro, in seguito a un licenziamento illegittimo, anche alle imprese che impiegano un numero di dipendenti compreso tra le 5 e le 15 unità; il che, fa notare l’Avvocatura, «costituisce un elemento di evidente novità» non solo rispetto all’attuale formulazione dell’articolo 18, ma anche, e soprattutto, rispetto al testo originario della norma, datato 1970, che ha riservato la tutela reale (e lo è tutt’ora) alle sole aziende con oltre 15 addetti. In quest’ottica, pertanto, il quesito referendario “ridisegna” il quadro normativo, «estendendo la garanzia del reintegro ad ambiti precedentemente non coinvolti, vale a dire alle unità produttive con meno di 15 lavoratori».
L’Avvocatura dello Stato è critica, anche, nei confronti del quesito che punta alla cancellazione dei voucher: la soppressione tout-court del corpo normativo contenuto nel Dlgs 81 del 2015, evidenzia il Foro erariale, «avrebbe il solo effetto di eliminare del tutto la figura del lavoro accessorio». In altre parole, il referendum non farebbe rivivere l’ originaria regolazione dei buoni lavori prevista dal decreto Biagi (il Dlgs 276 del 2003), finendo così, se il quesito venisse approvato, per determinare «un vuoto normativo».
I giuristi pubblici hanno alzato cartellino rosso anche sul terzo quesito della Cgil che mira a cassare le disposizioni che limitano la responsabilità in solido di appaltatore e appaltante in caso di violazioni nei confronti del lavoratore. Qui il rilievo dell’Avvocatura, per la verità piuttosto blando, è il rischio di incertezze tra la norma e il codice civile nel caso passasse il referendum.
Oltre all’articolo 18, l’attenzione, mediatica e politica, di questi giorni, è concentrata pure sul «tema voucher», anche se, stando agli ultimi dati ufficiali, il fenomeno sembra piuttosto circoscritto: i “buoni” riscossi per attività svolte nel 2015 sono stati quasi 88 milioni e corrispondono a circa 47mila lavoratori annui full-time, rappresentando appena lo 0,23% del totale del costo lavoro in Italia. Il numero mediano di voucher riscossi dal singolo lavoratore che ne ha usufruito è 29 nell’anno 2015: ciò significa che il 50% dei prestatori di lavoro accessorio ha riscosso voucher per (al massimo) 217,50 euro netti. Numeri, tra l’altro, che non tengono ancora conto della nuova tracciabilità (in vigore da ottobre); ma su cui il governo Gentiloni ha comunque acceso un faro. «Stiamo ragionando su possibili interventi correttivi - dichiara il presidente di Anpal, Maurizio Del Conte -. Tra le ipotesi allo studio c’è quella di ridurre il tempo di spendibilità del buono, oggi fissato in un anno; e si sta ragionando anche su una semplificazione dell’attuale procedura di tracciabilità».
La pubblicazione delle memorie difensive dell’Avvocatura di Stato ha subito acceso il dibattito: per la Cgil, che ha proposto i tre referendum, «l’ammissibilità dei quesiti la stabilisce la Consulta, che è autonoma e competente»; e anche per Cesare Damiano (Pd) la posizione del Foro erariale «è comprensibile, ma non condivisibile». Di diverso avviso Maurizio Sacconi (Ap) secondo cui gli avvocati dello Stato hanno «opportunamente evidenziato le ragioni di un possibile rigetto dei quesiti referendari». E sull’articolo 18 pure gli esperti condividono la linea dell’Avvocatura. «Non c’è dubbio che il quesito è manipolativo – spiega Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro all’università Sapienza di Roma – . Si pescano all’interno dell’articolo 18 alcune parole per cucirle insieme e formare così una nuova norma che non preesisteva all’interno dello stesso articolo 18 e che, quindi, non può essere oggi oggetto di un quesito referendario abrogativo».