Contenzioso

La risoluzione consensuale conta per il recesso collettivo

di Giuseppe Bulgarini d’Elci

La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, quando intervenuta a seguito di mancata accettazione del trasferimento da parte del dipendente, va inclusa nel computo dei lavoratori licenziati nell’ambito di una procedura di riduzione del personale. Nel numero minimo dei cinque licenziamenti, in presenza dei quali, in base all’articolo 4 della legge 223/1991, deve essere attivata la procedura collettiva di informazione e consultazione sindacale, rientrano le risoluzioni consensuali che siano l’esito di un trasferimento comunicato dal datore di lavoro e non accettato dal dipendente.

La Corte di cassazione (ordinanza 15401/2020 depositata ieri) ha affermato un principio importante, che costituisce superamento di un indirizzo contrario fatto proprio dalla stessa giurisprudenza di legittimità. La Suprema corte si aggiorna e afferma, riprendendo le conclusioni offerte dalla giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia Ue 11/11/2015 nella causa C-422/14), che nella nozione di licenziamento collettivo non rientra solo la fattispecie del recesso datoriale tecnicamente inteso. Al contrario, la fattispecie va estesa a quelle ipotesi in cui la risoluzione, pur non derivando formalmente da un atto di licenziamento, è riconducibile a una riorganizzazione aziendale da cui sia derivata una modifica sostanziale delle condizioni del rapporto di lavoro.

La sentenza dà conto dell’indirizzo contrario maturato in seno alla giurisprudenza di legittimità, per il quale nell’ambito di una procedura di riduzione del personale secondo l’articolo 4 della legge 223/1991 il termine “licenziamento” va inteso in senso rigorosamente tecnico, senza potervi ricondurre altre fattispecie di cessazione del rapporto di lavoro riconducibili, in tutto o in parte, a una scelta del dipendente.

Il precedente indirizzo riteneva, invero, che in presenza di dimissioni, risoluzioni consensuali o prepensionamenti i relativi recessi non potessero essere computati nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo, anche se queste cessazioni del rapporto di lavoro rientravano nel contesto della medesima operazione di esuberi di personale.

È una sentenza destinata ad avere un probabile impatto sulla gestione degli esuberi che attendono le imprese, nei prossimi mesi, dopo il temporaneo divieto dei licenziamenti per ragioni oggettive. Non sono pochi i casi nei quali, anche per lo stop ai recessi imposto dall’articolo 46 del decreto cura Italia, i licenziamenti hanno assunto la forma della risoluzione consensuale. Occorrerà, dunque, fare attenzione al lasso temporale dei 120 giorni, assicurandosi che non vi rientrino precedenti risoluzioni consensuali riconducibili a un mutato assetto aziendale.

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